Niente nuove, buone nuove

Scrivo al volo sulla base dell’ultimo post di Jared Spool che mi ha molto divertita e pochissimo stupita.

Jared racconta di come abbiano studiato l’inclinazione degli utenti a cambiare le impostazioni dei software, per scoprire che solo pochissimi lo fanno (meno del 5% del loro campione).

Nella loro prova avevano inserito la configurazione di Microsoft Office per un’impostazione di autosalvataggio che, di default, era disattivata. Curiosi di sapere come mai, hanno contattato direttamente la casa madre per chiedere lumi e la risposta è stata la seguente:

The reason the feature was disabled in that release was not because they had thought about the user’s needs. Instead, it was because a programmer had made a decision to initialize the config.ini file with all zeroes. Making a file filled with zeroes is a quick little program, so that’s what he wrote, assuming that, at some point later, someone would tell him what the “real defaults” should be. Nobody ever got around to telling him.

Since zero in binary means off, the autosave setting, along with a lot of other settings, were automatically disabled.

La cosa non mi sbalordisce affatto, essendomi trovata decine di volte in situazioni analoghe, sia da utente che, purtroppo, da progettista o designer che interveniva su qualcosa di giá esistente fatto da altri.

Il programmatore non va lasciato solo, perché altrimenti fa esattamente quello che farebbe chiunque altro: va per il minimo sforzo sperando di doverci mettere una piccola pezza dopo, se mai.

Ma soprattutto, perché il programmatore scrive codice in anticipo rispetto alla decisione di design? I miei amici dell’agile ma anche UX in genere non sarebbero affatto d’accordo.

L’altra cosa divertente che emerge dal pezzo di Jared è che il famoso 5% di customizzatori cui sopra, indovinate da chi è composto? Da programmatori e designers. Quelli che in genere sono poi responsabili di prendere le decisioni progettuali che si rifletteranno sull’usabilitá del prodotto digitale.

Grazie a questi dati possiamo a maggior ragione dire che chi progetta non coincide con l’utente: non ragiona come lui, non naviga come lei, e non usa i settaggi che gli mettiamo a disposizione. Quindi testiamole con loro, eh?

7 pensieri riguardo “Niente nuove, buone nuove

  1. Il motivo per cui il grosso del software è fatto ad immagine e somiglianza del programmatore è che il grosso del software NON ha nemmeno uno straccio di appunto (documento, poi, figuriamoci…) di analisi dietro.

    Non parliamo di elicitazione e gestione dei requisiti, analisi e progettazione, non parliamo di casi d’uso e relativi test.

    Non molto tempo fa su G+ c’era uno di questi espertoni© a stream pubblico che esaltava i ragazzi che passano la notte a scrivere codice. Ecco, se invece la passassero studiando, poi passerebbero le notti dormendo.

    Loro ed i loro utenti.

    La cosa curiosa è che siamo in un mondo iperspecializzato, nel quale si pretende “professionalità” dalle CoLF e dai giornalai, dagli idraulici e dagli imbianchini, che tuttavia tollera che in informatica il “nipote pratico”, a tutti i livelli, sia uno standard.

    Immagino che il motivo sia che la startup che viene dal garage e invade il pianeta con la sua killer app sia in contrasto con l’usabilità.

    Altro motivo, persino più grave, è questo:

    http://edue.wordpress.com/2010/06/24/suckurity-through-obscurity/

    ovvero che il prodotto finale, è inutile che ce la cantiamo, dev’essere una sorpresona.

    Quindi, non potendo essere svelato prima della data fatidica, non prevede la partecipazione dell’utente elettivo alla sua produzione.

    Quindi, mediamente, il software fa schifo.
    L’utente lo sa e cerca di stressarlo il meno possibile.

    E bada che l’utente sa che fa schifo non perché sia più bravo del programmatore, ma perché non trova nessuna utilità nel 95% delle funzioni che gli vengono messe a disposizione; sempre che le trovi.

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    1. Be’ ma appunto, poichè parliamo di professionalitá non possiamo aspettarci la progettazione della user experience dall’informatico. Manco se studia 😉

      Conosco realtá virtuose -e per fortuna si stanno diffondendo tanto- dove la progettazione è in mano a una persona (o meglio un team) che si occupa di UX, e dove l’informatico partecipa attivamente nel co-design con le sue competenze (ottimizzazione, soluzioni, piattaforme, e spesso si intende anche di HCI!).

      La sorpresona forse ci sta tutta, ma si puó benissimo lavorare con gli utenti in fasi anche molto iniziali (anzi, si comincia da lí). Di fatto, succede. 🙂

      Io dico che tradizionalmente il software faceva schifo per i motivi che tu giustamente citi. Ma oggi (anche da ieri) le cose stanno cambiando e parecchio, perché l’usabilitá e anche l’utilitá intrinseca sono molto piú facilmente misurabili e spostano enormi masse di utenti da un prodotto a un altro, da un’app alla successiva.

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      1. No, no, se studia non ci pensa proprio a progettare l’interfaccia 😀

        Se non altro perché scopre che c’è un mondo di creatività nella programmazione avendo (acquisito con lo studio) gli strumenti nel quale può benissimo divertirsi e realizzarsi.

        Sono proprio quelli da garage che rovinano tutto…

        P.S.: mi piacerebbe parlare delle realtà virtuose che conosco, ma non ne conosco. Però se mi guardo attorno, continuo a pensare che il software e gran parte dell’hardware fa schifo.

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  2. Un’osservazione.

    L’incompetenza non coincide con “quelli da garage”. Nel “garage”, tipicamente delle aree suburbane residenziali americane, accadono molte cose inutili che nessuno conoscera’ mai, perche’ inutili. Ma nascono alcune cose intelligenti che hanno successo proprio perche’ frutto di maggiore competenza di altri. Che tale competenza derivi da un’intuizione o da innumerevoli notti di studio matto e disperatissimo, o da trenta esami universitari o da un filtro magico, o da una serie di (s)fortunate coincidenze, e’ irrilevante e di interesse privato, al piu’. Se tale competenza c’e’, c’e’. Se l’idea e’ buona e vincente, lo e’ quale che sia la sua origine o la scolarizzazione di chi la concepisce. Lo studio e’ di importanza primaria per ciascuno. Chi potrebbe mai negarlo? Ma scambiare la competenza con un titolo o una certificazione o un “ruolo” e’ non meno ingenuo di affidarsi “al nipote esperto”.

    Trovare la persona giusta per il lavoro giusto non e’ semplice. E senza dubbio liberarsi di raccomandazioni, rapporti parentali ed amicali, scambi di favori, sciocchi formalismi e malandata burocrazia, aiuterebbe moltissimo.

    Ma criticare “i tipi da garage” porta proprio li’ da dove vuoi fuggire, a mio avviso: “patenti”, “ordini”, e formalismi, raccomandazioni, valorizzazione dell’ “apparire idonei” piuttosto che l’ esserlo, e conseguenti inghippi ed inganni per “apparire”.

    In UX si parla di test sull’utente. Questo principio illuminato e’ in se stesso la pura negazione dell’ipotetica dicotomia tra uomo qualificato e l’uomo da garage. E’ il vero approccio scientifico, la vera indagine, volta a scoprire la verita’ dei fatti piuttosto che la teoria formale del “giusto”.

    In alri ambiti si chiama, tecnicamente, “qualita’”.

    I miei 5 cents.

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      1. Raffiro, la mia osservazione è in risposta all’interessante commento di eDue, non al post principale del blog, che per altro condivido pressochè in toto.

        Leggendo poi il post di Spool che citi, senza dubbio esempliare in termini di UX, osservo un altro paio di cose interessanti al margine. Interessanti proprio in termini di UX.

        Le vicende narrate si riferiscono all’albore dell’era PC, ad usare le parole di incipit di Spool stesso; un’epoca immersa nei floppy disks. Parliamo dunque del’era Windows 3.1, 95, 98.
        Ai tempi, l’unico competitor di Microsoft Office Word ed Excel erano Lotus Ami Pro ed 123, che già avevano perso la competitvità con Microsoft in termini di features e potenza. Non solo lungi dalla perfezione – ovvio per qualsiasi prodotto – ma anche ricco di bugs talora grossolani e dettati da ingenuità progettuali o realizzative come quelle narrate, l’Office di allora era il meglio esistente, la migliore competenza sul mercato, per riprendere il discorso precedente.

        La funzione di autosave, abilitata ormai da numerosi anni, è per altro un esempio di estremo interesse. Ai tempi era oggettivamente scomoda in un contesto tecnologico in cui il salvataggio non consisteva in un’operazione impercettibile in esecuzione in background, ma causa di irritanti rallentamenti (immaginate poi su un floppy), seppur di pochi secondi, durante l’uso.
        Sempre ai tempi, antecedenti ad internet, il mondo telematico era pieno di threads di nerds indignati dal fatto che Microsoft si permettesse anche solo di concepire una funzione che salvasse al posto tuo. 🙂
        Se fosse stata abilitata di default, avrebbe causato un piccolo indignato scandalo. Se MS avesse speso il tempo necessario a definire le impostazioni di default, avrebbe probabilmente scelto di NOn abilitarla ugualmente, o avrebbe subito le usuali infinite critiche. 😉

        I tempi cambiano, tra mille passi falsi. In meglio. 🙂

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  3. Io rimango esterrefatta ogni volta che vedo che la gente (e x “gente” intendo i miei colleghi/e) che NON personalizza i software che usa quotidianamente. (Poi sclerano tutti se vengono sul mio computer e nn si trovano con le scorciatoie da tastiera da me cambiate).

    La risposta è: “Eh, ma se vado su un altro compuer devo già sapere quali sono i comandi e le impostazioni standard senza perdere tempo.
    È una cazzata enorme, perché salvarsi le proprie impostaizoni/preferenze ecc di un programma genera un file che peserà sì e no 10 Kb, te lo salvi nelel bozze di unab mail da cui accedi dal web e ovunque tu sia lo importoi in un naosecondo. Tantopiù che la tua customizazione non sovrascrive le impostaizoni di default, rimane separata con il suo nome.

    Di default alcuni programmi hanno “scorciatoie” da tastiere – tanto per citare una delle cose personalizzabili di alcuni software – richiedono di pigiare ben 4 tasti contemporaneamente… come la si possa chiamare SCORCIATOIA non lo so…

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