Chiedere o non chiedere? Il dilemma della ricerca con le persone

Post a quattro mani con Stefano Bussolon, scaturito da una chiaccherata sulla chat di Facebook (sì, noi UX designer facciamo anche queste cose qui).

Il tema era: “Dobbiamo chiedere cosa vogliono gli utenti oppure no?”, argomento che ho toccato in un mio vecchio post e su cui oggi siamo tornati a discutere.

Stefano: Insomma, non possiamo chiedere loro cosa vogliono.

Raffaella: Puoi, ma cosa ottieni? Non indicazioni di design e nemmeno individuazione di bisogni. L’esempio delle mie scarpe che postai tempo fa: mi piacciono stravaganti e le compro normali.

Stefano: E come li individui, i bisogni?

Raffaella: Ascolti loro che ti raccontano la quotidianità, la osservi, poi li ricavi tu.

Stefano: Mmmm…

Raffaella: Non sei convinto?

Stefano: Concordo sul “direttamente”, anche se . . . mettiamola così: sono sostanzialmente d’accordo su quello che scrivi, ma temo che possa essere letto come “noi samo, noi famo, noi semo i desainer”.

Raffaella: Ah ok. Invece è un problema di raccolta delle informazioni. Se chiedi loro cosa gli serve, non sono in grado di astrarre i propri bisogni e non sono obiettivi.

Stefano: Noi siamo in grado?

Raffaella: (Nel caso della storia a fumetti invece, la cosa è diversa). Noi siamo in grado di desumere dei pattern dalle storie che ci raccontano o che osserviamo: è il motivo per cui difficilmente ci sono utili le ricerche di mercato, perché spesso chiedono “cosa ti piacerebbe” e “cosa ne pensi di”.

Stefano: E invece noi?

Raffaella: Noi chiediamo “raccontami come dividi i panni prima di metterli in lavatrice”, oppure li osserviamo a casa mentre lo fanno. E, sopratutto, chiediamo sempre “perché?”. Dal perché vengono sempre fuori cose interessantissime che non saltano fuori dal “cosa”.

Stefano: Dunque chiediamo.

Raffaella: (Un capo con cui ho lavorato comprese bene il concetto e lo espresse così: “If we ask people what they want, they would say ‘a blowjob every morning’”).

Stefano: Ma il problema è che non siamo attrezzati per soddisfare il bisogno, mica che la risposta sia sbagliata.

Raffaella: Si parlava di Intranet, effettivamente no. Ma era un modo esagerato di far capire che i desideri espressi spesso non c’entrano  nulla con ciò che ci interessa indagare.

Stefano: Allora. Sono d’accordo che se io chiedo cosa vuoi, spesso la prima risposta non mi aiuta molto, però, questo non mi autorizza a non chiedere. Se non chiedo, è peggio, temo, perché sono costretto ad indovinare per altre vie. E allora, o ho strumenti molto furbi, oppure rischio di mettere tanto, ma tanto, del mio.

Raffaella: Per me il punto è che la domanda della ricerca non è la domanda che poniamo alle persone. Lo dice Steve Portigal, ma lo dicono parecchi altri. La domanda che tu hai in testa è “di cosa hanno bisogno i miei utenti?”. Ma quello che chiederai loro saranno altre cose che ti permettano di dedurlo. Non si tratta di tirare a indovinare e non si tratta di influenzare la risposta o il pattern, anzi.

Stefano: Quali altre cose?

Raffaella: Se chiedi alle persone di mostrarti o raccontarti parte della loro vita, poi puoi analizzare quei dati per ricavare i pattern e le risposte che ti servono. Non c’è del tuo e non c’è del loro, ci sono i dati obiettivi. La bravura è di essere neutri nel porre le domande, e di scavare a fondo nelle risposte, chiedendo spiegazioni e perché fino ad arrivare alle motivazioni.

Stefano: Yeah! Chiedendo, appunto. Il problema non è non hciedere (lascio il refuso di battuta perche HCIedere è carino) il problema è non accontentarsi di “voglio cavalli più veloci”.
Perché vuoi cavalli più veloci?
Per muovermi più velocemente.
Hai mai provato il treno?
Sì, ma col treno non posso andare a casa.
E hai mai pensato ad un trenino che non va su rotaia, ma sulle carrabili, come le
carrozze?

Raffaella: gli stai suggerendo una marea di cose nelle tue domande.

Stefano: Vero. Però chiedo, e mi becco anche dei no.

Raffaella: Eh ma li hai già influenzati pesantemente. Io avrei condotto l’intervista così: raccontami come ti sposti abitualmente. Dalle risposte al come ti sposti, indagherei a fondo: come mai dici che xyz? mi spieghi meglio cosa intendi per xyz?

Stefano: Infatti.

Raffaella: Potrebbe venire fuori di tutto, anche che lo spostamento attuale va benissimo così e che la cosa che in realtà gli cambierebbe la vita è una valigia con le rotelle. Per dire.

Stefano: Vero.

Raffaella: Ma se ti metti a discutere con loro già una possibile soluzione loro si dimenticheranno di raccontarti il resto.

Stefano: Dunque: non chiedere le soluzioni, ma fai emergere i bisogni. Giusto?

Raffaella: Esatto. Al limite alla fine delle interviste e delle indagini puoi vagliare possibili idee progettuali, ma più come grilletto per esplorare argomenti non toccati che altro.

Stefano: Adesso sì, sono perfettamente d’accordo.

Raffaella: 🙂