Progettare un’esperienza bella e utile, al servizio della sicurezza aerea

Recentemente si sono moltiplicati i casi di compagnie aeree che scelgono modalità alternative per comunicare ai propri clienti le indicazioni di sicurezza per il volo. Sembra quasi una gara per aggiudicarsi il premio di originalità e simpatia, e invece, secondo me, si tratta solo di service design fatto bene.

Se ve li foste persi, eccovi qualche esempio, cominciando forse dal più noto, quello di Virgin America, che ha trasmesso le istruzioni di sicurezza cantandole e ballandole.

Poi c’è Delta, che ambienta le istruzioni negli anni ’80 per richiamare un film che ha spopolato al’epoca, ovvero “L’areo più pazzo del mondo”, con tanto di cameo di Kareem Abdul Jabar che aveva partecipato al film originale.

Infine, il mio preferito, ambientato nella Terra di Mezzo: il video di Air New Zealand!

Perché dico che questo è service design fatto bene?

In primo luogo perché l’esigenza di ripensare e riprogettare questa parte del servizio aereo è nata da dei bisogni reali: i viaggiatori, specie quelli abituali, non prestano più attenzione alle indicazioni tradizionali, recitate con voce monotona e annoiata dal personale di bordo. Le compagnie, per rispettare le norme  imposte e contribuire alla sicurezza dei propri passeggeri, devono adeguare il servizio erogato a questa nuova situazione.

In seconda battuta, si tratta di migliorare un’esperienza rendendola piacevole, divertente, e magari persino memorabile (cosa particolarmente auspicabile per questo tipo di informazioni, dato che potrebbero tornare in mente più facilmente in condizioni di emergenza).

Infine, adottare questo approccio significa trasferire le sensazioni piacevoli evocate da un servizio verso il brand: è naturale che se mi sono divertita e ho apprezzato questo trattamento, la compagnia area guadagnerà punti stima. Questo a dimostrazione del concetto che progettare tenendo al centro le persone conviene sempre.

Cosa ci vuole per fare lo UX designer?

Supponiamo che un bel giorno vi svegliate desiderando di voler cambiare lavoro (magari da settori limitrofi, oppure con salti professionali più lunghi). E mettiamo il caso che il lavoro che volete svolgere sia lo UX designer. Da dove si comincia? Cosa vi conviene fare?

Non so se sia una ricetta universale, ma io condivido la mia, sperando vi sia utile.

1. L’incontro significativo con un altro UX designer
Nel mio caso è stato abbastanza evidente che la molla per la manifestazione del mio desiderio sia stata inciampare su un (futuro) collega che il mio capo all’epoca definì come colui “whose hair just exploded” (i cui capelli erano appena esplosi).
Perché? Perché ha risposto alle mie domande incuriosite, mi ha spiegato cosa fosse la User Experience, mi ha contagiato con il suo entusiasmo.
Infine, mi ha fatto capire l’importanza dei punti seguenti.

2. Entrare nella community
Il nanosecondo dopo essermi affacciata nel mondo della UX mi sono resa conto di avere un gran numero di bisogni (proprio come le persone che avrei studiato in seguito):

  • il bisogno di formazione, perché, specialmente in Italia, è un ambito innovativo ancora pochissimo recepito dall’accademia; ma anche per la natura molto pratica di questo bisogno che richiede workshop, esercitazioni, sessioni di gruppo per venire soddisfatto.
  • il bisogno di orientamento, per ricevere consigli su chi sono gli esperti da seguire su un certo tema, sui libri fondamentali da avere, sui corsi su cui vale la pena investire risorse.
  • il bisogno di confrontarsi, perché si tratta di un mondo in costante evoluzione e che si avvale di best practice, di esperienza quindi, per cui diventa vitale -specie all’inizio- ascoltarla dalla viva voce dei colleghi.
  • infine, il bisogno di una pacca sulla spalla. Questo lavoro ci porta spesso dentro situazioni complesse dal punto di vista professionale e anche umano, perché si interagisce con figure distanti e a volte con persone difficili. Confrontarsi su questo aiuta a superare i momenti di sconforto.

Io ho trovato prezioso entrare nello UX Book Club di Roma: una comunità di persone che si incontrano una volta al mese per commentare un libro (ma non solo) su uno dei tanti temi legati dal filo rosso della UX. Ne stanno nascendo altri due in Italia, uno in Sardegna e l’altro a Milano. Non siate timidi e andateci! Non ve ne pentirete.

Poi ci sono eventi su scala nazionale come il Summit Italiano di Architettura dell’Informazione, dove vengono svolti workshop formativi e si ascoltano presentazioni di chi lavora o studia nel settore. Si è appena conclusa l’edizione del 2012, a mio parere ottima: vi consiglio di dare un’occhiata alle tre presentazioni che ho preferito.

Ma bisogna esserci e viverlo (mi direte, ve lo potevo dire prima! Vero).

Se ve lo siete persi, non potete però mancare alla versione europea dello stesso, l’Euro IA Summit, visto che quest’anno si terrà a Roma, a fine settembre.

3. Avere entusiasmo, tanto.
Perché c’è bisogno di studiare parecchio, discipline diverse, leggere libri e blog, seguire gruppi di discussione e questo livello di impegno, secondo me, si ottiene solo se si ha passione. Quanto meno è molto più divertente, se l’avete.

Ho dimenticato qualcosa? Se sì, scrivetemelo.

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UX non è fantascienza, è pensare come gli utenti

Non basta far comparire la parola User Experience sulla home del Corriere.it per far passare un concetto che, ai più, appare complicato e oscuro.

Provo quindi a dare un mio minuscolo contributo, scaturito da un post su Facebook letto e commentato stamattina.

Dalla pagina di Kiko viene lanciato un nuovo prodotto, con link alla pagina del sito. Leggo distrattamente il testo (troppa fuffa per me, ma lasciamo perdere) e poi per capirci qualcosa in più, visto che si tratta di un prodotto 2 in 1 e non capisco bene com’è fatto e come si usa, provo a vedere il video.

Secondo voi cosa c’è nel minuto di filmato? Una prova del prodotto sulla pelle del viso? Le tecniche per applicarlo? No, ovviamente. C’è solo una modella che si contorce, e in sovrimpressione un paio di slogan a effetto che non dicono granché.

Studiare l’esperienza utente (la UX, appunto) significa mettersi dalla parte dell’utente per capire di cosa ha bisogno: Che informazioni cerca? Come gliele posso presentare? Il testo che ho scritto è comprensibile per lui/lei? In sostanza, ho soddisfatto le sue aspettative e risposto alle sue richieste?

Per questo ho risposto al post su Facebook chiedendo il senso di un video che, secondo me, soddisfa forse il direttore marketing e il regista, ma non il possibile acquirente del prodotto.

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I like possono dire molto, a volte.