Progettare sistemi interconnessi

Mi sono imbattuta per caso sul sito americano di Amazon e ho scoperto l’esistenza di questo nuovo gingillo chiamato Amazon Dash Button: si tratta di un dispositivo da posizionare in casa che, una volta premuto, fa partire un ordine automatico su Amazon del prodotto collegato.

Ne esistono diversi, uno per ogni prodotto convenzionato con questo servizio, che possiamo incollare nel punto più opportuno: il detersivo della lavatrice sulla lavatrice stessa, i pannolini sul fasciatoio, le lamette da barba sul pensile in bagno, e così via.

dash button
Amazon Dash Buttons

Il bottone è collegato a un’app sul nostro cellulare con cui impostiamo l’acquisto per ciascuno dei prodotti, e comunica tramite il wi-fi casalingo. Non sembra essere un sistema perfetto, a quanto leggo, ma sicuramente ci fa riflettere sulla direzione che il design sta prendendo.

Il Dash button fa parte dell’universo in continua espansione chiamato IoT, Internet of Things: si tratta di oggetti o dispositivi di qualunque tipo con la capacità di connettersi ad Internet, con i quali quindi possiamo interagire a distanza, o che possono interagire fra loro, anche senza la nostra presenza. Inquietante, vero? Un po’ sì.

Questi oggetti, e l’ecosistema che stanno occupando (o generando?) costituiscono una sfida per noi progettisti, perché come potete immaginare, il tipo e la complessità delle interazioni da considerare sono diverse. Il paradigma che mette la persona al centro non dovrebbe essere impattato, ma probabilmente abbiamo bisogno di metodi diversi e riferimenti più attenti a questo nuovo tipo di interazione fra le persone e la tecnologia nella vita quotidiana.

Proprio su questi temi si tiene quest’anno EuroIA, il Summit Europeo di Architettura dell’Informazione. Si parlerà di progettazione, di casi di studio e di riflessioni sull’impatto nelle nostre vite di questi sistemi interconnessi. La call for proposal è aperta fino al 14 febbraio: se avete idee, esempi o pensieri da condividere, anche sotto forma di presentazioni-lampo da 6 minuti, potrebbe essere la vostra occasione per parlare alla community europea. Fatevi sotto!

A Gatwick la sicurezza centrata sulle persone – Gatwick people-centered security check

[Second bilingual post! Italiano and English]

Di ritorno da un piccola vacanza a Londra, ho potuto sperimentare di persona un nuovo sistema di controlli di sicurezza all’aeroporto di Gatwick. Mi ha talmente colpito che ve lo voglio raccontare. E’ per me un ottimo esempio di progettazione centrata sulle persone.

Coming back from a quick getaway in London I had the chance to experience the new security check procedure in Gatwick airport. I was so struck by it that I decided to write about it. To me it’s a bright example of people-centered design.

Innanzi tutto, ecco uno schema che ho disegnato per illustrarvi come funziona il sistema.

First of all, here’s a sketch I drew to show you how the system works.

Gatwick new security check UCD

Alla fine della fila, un addetto vi indirizza a uno dei punti di preparazione, indicandovi il vostro numero. Siccome la parte scorrevole è solo quella posteriore, potete preparare i vostri bagagli con calma, senza che le persone alla vostra sinistra vi spingano verso il controllo. Altri addetti vi assistono su come preparare la vaschetta e ve ne forniscono altre (le vaschette arrivano in automatico sotto la vostra postazione).Una volta finito, vi basta spingere il vostro contenitore per farlo andare sul rullo e proseguire.

At the end of the line an employee sorts you in one of the designated posts by assigning you a number. You can organize your stuff into the tray with no hurry, since the roller is positioned behind the posts so the other passengers will not push you towards the detector. Two employees assist you during the preparation, even providing additional trays (they will automatically appear below your post). When you’re finished, you simply push the tray towards the roller and proceed.

Una volta superato il controllo dei detector, recuperate il vostro contenitore e vi spostate subito in una delle postazioni libere sulla destra, per rivestirvi con calma e richiudere i bagagli. Anche qui, nessuna fretta e comodità dell’operazione.

Once you’re past the detector, you pick up your tray and move to one available post on the table on the right side, where you can redress and close your luggage. Again, no hustle since you’re away from the roller and the other passengers.

Infine, la ciliegina sulla torta che mi ha persuasa a scrivere questo post. Sul percorso di uscita c’è una semplice lavagna a fogli mobili e un pennarello, per lasciare le proprie impressioni.

Perché il feedback fa parte dell’esperienza ed è un momento prezioso di contatto fra chi la progetta e chi la vive, che contribuisce a generare un rapporto soddisfacente e duraturo. E’, anche, un’opportunità enorme e a basso costo, come in questo caso, per guidare i prossimi rilasci e continuare a migliorare.

Last but not least, the cherry on top of this experience that persuaded me to write about it. On your way out you stumble upon a whiteboard where you can leave your feedback.

Because feedback is part of the experience and it’s a valuable touch point between those who design it and those who live it. It contributes to build a pleasing and durable relationship amongst them. Also, it’s a huge opportunity for the brand, even low-cost like in this case, to guide the upcoming releases and to continue improving it.

Feedback whiteboard Gatwick
Foto di Claudio Marinangeli

Questo non vuol dire che i commenti saranno tutti sensati. C’è la resistenza al cambiamento, c’è il pregiudizio, ma anche tanto altro.

This does not mean all comments will make sense. There is resistance to change, there’s prejudice, but there’s also a lot of other stuff.

Progettare un’esperienza bella e utile, al servizio della sicurezza aerea

Recentemente si sono moltiplicati i casi di compagnie aeree che scelgono modalità alternative per comunicare ai propri clienti le indicazioni di sicurezza per il volo. Sembra quasi una gara per aggiudicarsi il premio di originalità e simpatia, e invece, secondo me, si tratta solo di service design fatto bene.

Se ve li foste persi, eccovi qualche esempio, cominciando forse dal più noto, quello di Virgin America, che ha trasmesso le istruzioni di sicurezza cantandole e ballandole.

Poi c’è Delta, che ambienta le istruzioni negli anni ’80 per richiamare un film che ha spopolato al’epoca, ovvero “L’areo più pazzo del mondo”, con tanto di cameo di Kareem Abdul Jabar che aveva partecipato al film originale.

Infine, il mio preferito, ambientato nella Terra di Mezzo: il video di Air New Zealand!

Perché dico che questo è service design fatto bene?

In primo luogo perché l’esigenza di ripensare e riprogettare questa parte del servizio aereo è nata da dei bisogni reali: i viaggiatori, specie quelli abituali, non prestano più attenzione alle indicazioni tradizionali, recitate con voce monotona e annoiata dal personale di bordo. Le compagnie, per rispettare le norme  imposte e contribuire alla sicurezza dei propri passeggeri, devono adeguare il servizio erogato a questa nuova situazione.

In seconda battuta, si tratta di migliorare un’esperienza rendendola piacevole, divertente, e magari persino memorabile (cosa particolarmente auspicabile per questo tipo di informazioni, dato che potrebbero tornare in mente più facilmente in condizioni di emergenza).

Infine, adottare questo approccio significa trasferire le sensazioni piacevoli evocate da un servizio verso il brand: è naturale che se mi sono divertita e ho apprezzato questo trattamento, la compagnia area guadagnerà punti stima. Questo a dimostrazione del concetto che progettare tenendo al centro le persone conviene sempre.

Rainbow Magicland e la bacchetta magica per orientarsi!

Ieri, con la scusa di intrattenere la bimba di alcuni cari amici, sono stata al Rainbow Magic Land (o Magicland? o MagicLand? boh) e da appassionata di parchi divertimento ecco la mia recensione personale e un po’ anche professionale. 😉

Cominciamo dalle cose positive, ché non voglio praticare lo sport nazionale del “demoliamo tutto ciò che è nostrano a prescindere”.

Il parco è bello: le ambientazioni, gli spazi verdi e coperti, le attrazioni sono degni di un parco divertimenti moderno. C’è lo spazio per i piccoli e i rollercoaster per i grandi, c’è modo di rinfrescarsi e di vedere gli spettacoli. Pur non avendo il plus dei marchi più noti secondo me non gli manca nulla, anche in previsione di espansioni future.

Il personale è stato gentilissimo e sorridente, per tutto il giorno, sia nelle attrazioni che negli infopoint o ai punti ristoro. La cosa merita di essere menzionata perché nell’esperienza utente il fatto di venire accolti umanamente bene conta moltissimo. E diciamo che in Italia non si può dare per scontato perché accade ancora troppo poco spesso.

Altra nota di merito, i bagni erano puliti e sempre dotati di carta igienica e sapone (anche questo è raro da noi, quindi va fatto notare!).

L’offerta di cibo accontenta un po’ tutti, dal pasto veloce fino al ristorante di lusso, che non ho provato.

Per me che sono intollerante al glutine è stato bello avere possibilità di scelta con piatti surgelati certificati (anche se consiglio un cambio di marchio, molto meglio i DS!). Magari il rapporto/qualità prezzo andrebbe corretto, ma insomma.

12 euro per il pollo peggiore che io possa ricordare

E passiamo alle note dolenti che purtroppo non sono mancate, ma essendo risolvibili spero si adoperino per migliorarle presto.

E’ molto difficile orientarsi nel parco: una bacchetta magica sarebbe davvero servita!

Dico orientarsi e intendo:

  • La mappa cartacea fornita non aiuta a capire quali attrazioni, ristoranti e altro ci siano, è praticamente illegibile
  • Nei vialetti del parco non c’è un singolo cartello che indichi la direzione di questa o quella attrazione (sono limitati ai bagni, ai carabinieri, al bancomat, ecc.)
  • Si fatica a capire persino dove si entra e ci si mette in fila per un’attrazione, finendo per girarci intorno
  • La cartellonistica è poco chiara, specie riguardo i limiti di accesso per età o altezza (viene sempre usato il simbolo del divieto anche se in realtà si vuole indicare che il bambino al di sotto di una certa età può entrare ma solo se accompagnato).
L’amara sorpresa una volta arrivati all’area dei piccoli

Gli orari di apertura e delle attrazioni non vengono comunicati efficacemente.

Diciamo che la comunicazione tutta andrebbe rivista: il sito, interamente in flash e pieno solo di video non facilita chi vuole programmare un percorso o avere informazioni dettagliate. Per dire, non c’è nemmeno un elenco di tutte le attrazioni adatte ai più piccoli.

E a proposito di informazioni  mancanti o intempestive, io ero con una bimba di 4 anni e avevo organizzato un certo percorso e una tempistica, e quando arrivo all’apertura del parco (10:00) scopro che:

  • Il percorso più breve dall’entrata all’area dei piccoli è chiuso fino alle 11:00 (?). Per arrivarci tocca fare il giro lungo intorno al lago
  • L’area dei piccoli apre solo alle 10:30
  • Due attrazioni dell’area dei piccoli aprono alle 14:00 (vedi foto sopra).

Tutte queste preziose informazioni non solo non compaiono sul sito né nell’orario giornaliero degli spettacoli o eventi ma vengono fornite in loco o da persone messe lì a sorvegliare il divieto di accesso o da poster affissi sopra ai cartelloni delle attrazioni. In entrambi i casi vengono date troppo tardi per chi si era organizzato e magari ha bimbi scalpitanti al seguito.

Quindi ecco che diventano del tutto inutili le mail di reminder o di commiato, che tra l’altro tradiscono lo zampino di qualche amante dei database. A cosa serve questa e-mail? Non c’è nemmeno un questionario di soddisfazione da riempire.

Insomma, in definitiva un parco così a due passi da Roma ci voleva. Ma c’è da lavorare per arrivare anche solo a scalfire la qualità dei parchi più noti. Coraggio, si può fare!

Riabilitarsi agli occhi dei clienti, si può. Il mio caso con Decoramo

Cosa ci vuole per riabilitare l’immagine di un’azienda (il brand, direbbero quelli del marketing) per un cliente scontento e arrabbiato? A volte anche una telefonata.

Circa un anno fa ho vissuto una disavventura con gli sticker da parete di Decoramo, che mi aveva lasciato con l’amaro in bocca e una pessima opinione dell’azienda in questione, che a suo tempo non aveva dimostrato nessuna attenzione verso il problema di un singolo utente.

A distanza di un anno ricevo la chiamata inaspettata della nuova responsabile dell’azienda, che intende dare seguito al mio incidente con il loro prodotto. Si informa su cosa fosse accaduto e si offre di rimborsarmi il danno, oltre ad assicurarmi che avvieranno delle indagini con il dipartimento tecnico per capire perché è successo e come evitarlo in futuro.

Ecco, se questa attenzione fosse avvenuta contestualmente al danno, probabilmente il post negativo non l’avrei mai pubblicato.

Il mio invito alle aziende quindi è di usare la rete per dialogare con i propri clienti e di non temere nemmeno le recensioni negative (come spiega bene Gianluca Diegoli nel suo video)  . Nessuno si aspetta l’infallibità: l’umanità e la cortesia, invece, sì.

Il tocco umano nell’e-commerce

Premessa: sembra un blog dedicato all’e-commerce ma non lo è. Almeno, non solo!

Due giorni fa ho ricevuto un pacco che avevo ordinato tempo addietro. Si trattava di una buona scorta di biscotti senza glutine, spekulatius per lo piú, ma non solo. Qui in Italia non si trovano, almeno non facilmente, per cui li ho cercati online, sono approdata su un sito estero, ho verificato al volo che spedissero in Italia, e ho effettuato il mio acquisto. Una transazione velocissima e indolore.

Se mi aveste chiesto allora il nome del sito, o la sua nazionalitá, non avrei saputo rispondervi. Del nome non ricordavo nemmeno l’iniziale, della localizzazione geografica supponevo si trattasse di “un paese del Nord Europa”. La mia esperienza con loro si sarebbe conclusa con un minimo scambio di informazioni e senza aver stabilito un qualsivoglia tipo di legame che non si esaurisse nell’arco di tempo della compravendita stessa.

Se non fosse per due cose che sono accadute, e che non mi aspettavo.

La prima, è l’aver ricevuto la seguente e-mail:

Si potrebbe pensare che sia un atto invadente e irritante il venire automaticamente iscritti con un account; invece a me ha fatto piacere, perché mi hanno fatto risparmiare tempo (quello della registrazione) e non mi hanno chiesto ulteriori dati personali. Inoltre ho avuto la sensazione che loro ci tenessero a me, che si preoccupassero di tenermi al corrente del mio ordine. Mi è piaciuto.

La seconda è avvenuta quasi contestualmente all’arrivo del pacchetto. Quasi perché arrivata il giorno seguente e al mio indirizzo di casa (non a quello di consegna).  Si trattava di una lettera cartacea, che stavo quasi per buttare convinta si trattasse della ricevuta dell’ordine, ma che per fortuna ho aperto, incuriosita dal fatto che l’intestazione fosse scritta a mano.

Dentro la lettera ho trovato questo:

Un biglietto di auguri di Natale. Semplice, ma scritto a mano, con un paesaggio inconfondibile che mi ha comunicato la loro identitá e il loro modo di rapportarsi a un cliente. C’era scritto “grazie”, e “Buon Natale”, ma per me ha significato molto di piú.

Da ditta sconosciuta trovata su google, Kamterra è riuscita a intraprendere un discorso con me, che potrebbe proseguire oltre il singolo acquisto. Gli anglofoni lo chiamerebbero engage with your customer. Di sicuro loro hanno guadagnato una cliente in Italia.

E con questo (e con la neve vintage sul blog) vi auguro Buon Natale e Buon Anno Nuovo. Ci si rilegge nel 2012! 🙂

La fidelizzazione nel post-vendita

Sono cresciuta con questo adagio: “se qualcosa non va, scrivi una lettera”.

Questo mi diceva sempre mio padre, con l’intenzione di tagliare corto di fronte alle mie lamentele su qualcuno o qualcosa ma, ne sono convinta, con l’intento di dirmi che per cambiare il mondo serve anche il nostro stimolo.

É una cosa che continuo a fare anche oggi: segnalo, riempio questionari, compilo form di reclamo, mando mail. Ma scrivo anche quando resto soddisfatta di un servizio o di un prodotto perché sono convinta che serva anche questo a migliorare il mondo.

Cosí ho fatto con Ucci Games, una ditta italiana che vende videogiochi online, con cui ho avuto sempre esperienze positivissime fatte di professionalitá, velocitá e cortesia.

Ecco quindi che trovandomi di fronte al primo ostacolo in fase di consegna di un ordine, torno a scrivergli, questa volta lamentandomi del problema. La questione riguardava gli indirizzi di spedizione e fatturazione (annosa questione con cui ci si scontra ancora troppo spesso) che per qualche motivo non erano stati correttamente registrati dal sistema.

C’è da dire che la mia mail era gentile e conteneva i motivi di stima nei loro confronti, ma comunque il servizio clienti mi ha risposto in tre minuti (!!). Risposta che è stata cortese e che conteneva un loro impegno a modificare l’interfaccia per evitare problemi analoghi in futuro.

Se avessi avuto qualche dubbio nel tornare a ordinare da loro per quel disguido, con questa azione hanno riguadagnato la mia fiducia nel loro brand. Perché sono riusciti a trasformare l’esperienza negativa, che comunque capita, in una positiva.

A costruire la fiducia ci vuole tempo, a distruggerla molto poco. Ma con altrettanto poco si puó evitare la catastrofe, anche solo rispondendo in breve tempo alle mail dei clienti.

Perché pagare se puoi averlo gratis?

Sono cliente Fineco da diversi anni ormai, e mi sono sempre trovata bene, sia nella gestione ordinaria che in qualche specifico caso in cui ho apprezzato la loro trasparenza e fiducia (quando hai la partita IVA non è cosí semplice).

Ogni volta che mi sono rivolta alla loro assistenza telefonica ho avuto risposte pronte, chiarissime, fornite da persone evidentemente competenti in materia e anche molto cortesi.

Non ho mancato di segnalarlo a loro e al mondo tramite tweet (e ora questo post): mi sembra giusto riconoscere un servizio che funziona, e mi fa piacere consigliare Fineco ad amici e conoscenti quando se ne presenta l’occasione.

Per questo non capisco la necessitá di mandarmi e-mail con l’invito a portare i miei amici in Fineco per ottenere in cambio premi in denaro. Per due motivi: il primo per quanto dico sopra, ovvero se sono soddisfatta del tuo servizio sono il tuo primo sponsor, e lo faccio gratis perché sono convinta del meccanismo virtuoso. Il secondo è che non saranno 60 euro a convincermi a fare telefonate o mandare e-mail a parenti o conoscenti. Ho altro da fare.

Secondo me questo posizionarsi nel mezzo non ha un gran fortuna, almeno su un cliente come me. Ma magari ci sono frotte di italiani che rispondono positivamente, eh? Mi piacerebbe saperlo.

UX è anche una bella mail di conferma d’acquisto

Sono giá due volte che trovo siti di shopping online che mi lasciano col sorriso sulle labbra una volta completato l’acquisto.

Uno è Photojojo, un raro esempio di semplicitá di navigazione e di acquisto, con una User Experience progettata -per quanto mi riguarda- alla perfezione. Pochissimi click, pagine chiarissime, testo informale e ironico che strappa volentieri un sorriso o una risata.

Un altro, appena sperimentato, è RedBubble, sito che vende, tra le altre cose, delle T-shirt originali adatte ai nerd e geek come me. 😉

In entrambi i casi parte della piacevole UX è rappresentata dalla mail di conferma dell’ordine effettuato. Non tanto per l’informazione contenuta, ma per il tono del messaggio che lo rende personale, originale, divertente.

Ad esempio:

Thank you for ordering from RedBubble, it is now highly likely that somewhere an artist or even a heap of artists are getting all excited that someone really likes what they do. Which is quite a wonderful thing really. You should feel good right about now.

E in effetti, questa cosa mi fa sentire bene! E mi piace che qualcuno ci abbia pensato e abbia capito che stabilire questo livello di comunicazione tra venditori e clienti dia i suoi frutti.

Sará che in questo paese siamo abituati alla scortesia, ai formalismi vuoti, al pessimismo, ma io da un’esperienza utente cerco proprio questo: simpatia e semplicitá. In altre parole, umanitá.