User-centered design applicato ai giochi per gatti

Qualche giorno fa ho sorriso molto nel ricevere il pesce d’aprile che ci ha riservato Jakob Nielsen: un articolo che riportava nella sua consueta struttura un verosimile studio di usabilità condotto sui gatti per le applicazioni touch, con conseguenti linee guida di progettazione.

Pur essendo uno scherzo vi confesso che, avendo due gatti in casa, l’osservazione di come interagiscano con i giochi per me è affascinante al pari di assistere a un test di usabilità con gli umani. E mi chiedo come possiamo applicare i nostri metodi per progettare un’esperienza utente soddisfacente per essere così diversi da noi.

Byte e games for catsSull’Ipad ho installato un’app pensata per i felini, Games for cats: tra i possibili scenari ce n’è uno che simula un laser pointer, che normalmente fa impazzire qualunque gatto, ma che in versione schermo non rende il contrasto necessario (il laser ha la sua massima efficacia al buio) e infatti viene spesso snobbato dai miei pelosi. L’altro scenario, quello prediletto, è la caccia al topolino: i gatti ci si fiondano con entrambe le zampe per prenderlo, e quando ci riescono squittisce. Ma spesso lo cercano al di fuori dello schermo, convinti che si sia nascosto sotto il tablet quando scompare dal loro campo visivo. Infilano quindi le zampe sotto, cercando di stanarlo, e rimangono perplessi del fatto che riappaia sempre sopra. In questo caso la situazione diventa preoccupante per me perché ho paura che mi capovolgano l’Ipad o lo facciano cadere dal divano, quindi li fermo!

Hagen massage center for cats

Esiste poi una linea di giochi fisici studiata appositamente per i felini, di cui ho acquistato al momento un solo pezzo ma che mi ha colpito molto per l’approccio di design. La linea Cat-it della Hagen propone infatti dei giochi che stimolano tutti i sensi del gatto e che mescolano il gioco alle necessità quotidiane di cibo o altro.

Io immagino che loro progettino i prodotti all’incirca come noi ci occupiamo di un artefatto digitale. Provo a indovinare:

Avranno fatto un’osservazione…felinografica? Osservare di nascosto come si comportano i gatti che vivono all’esterno, in appartamento, e provando a stimolarli non con domande ma con oggetti vari per testare le loro reazioni.
Avranno forse realizzato un benchmarking sugli altri giochi e accessori disponibili sul mercato, magari addirittura vedendo come i gatti ci interagiscono.
Si saranno documentati sulla fisiologia e sull’etologia feline per capire i loro bisogni quotidiani, dato che non possono chiederglieli. Qualcosa come il farsi le unghie, lo strofinare le ghiandole del muso negli angoli, la necessità di “fare la pasta”, la voglia di caccia e di gioco, l’appetito, e così via.
Avranno quindi progettato dei prototipi con varie forme, materiali e stimolazioni sensoriali, e li avranno testati su dei campioni di gatti. Chissà se hanno considerato (come Nielsen suggeriva scherzando) gatti di età diverse, di razze diverse, di provenienze diverse (domestici e semi-randagi). A pelo lungo e pelo corto? Sterilizzati o meno?

Forse avranno persino tenuto conto dei bisogni di altri utenti apparentemente secondari: gli umani che convivono con i felini! Gli oggetti infatti sono destinati a stare per lo più dentro casa. Saranno quindi esteticamente gradevoli? Saranno pesanti o leggeri? Smontabili o interi? Saranno lavabili? Hanno parti che si possono sostituire? E infine, quanto costano?

Dato il successo dei loro prodotti immagino che l’azienda abbia lavorato più o meno così. 🙂

Certo mi piacerebbe sapere i dettagli il processo che hanno seguito. Ancora di più mi piacerebbe cimentarmi con prodotti così lontani da quelli che progetto normalmente. Chissà, potrebbe succedere!

Sforzarsi di progettare su carta

appunti per le mie slide di usabilità

Sto preparando le mie slide per il webinar di usabilità di base (ci sono ancora posti, se volete!) e mi sto sforzando di lavorare solo con carta e penna fin quando tutti i concetti non siano ben delineati, non abbia trovato una sequenza logica precisa e non sia arrivata al numero giusto, che in genere equivale al numero di minuti di presentazione/2, per me.

Mi accorgo che è uno sforzo costante resistere alla tentazione di aprire il programma sul PC e iniziare a impaginarle. Ciò nonostante resisto e vinco la mia battaglia interiore, perché lavorare a bassa fedeltà è utile non solo quando si progettano siti web: lo è sempre.

I ragazzi del workshop sulla UX mi hanno detto che questa è stata una delle sfide maggiori per loro, e me ne sono accorta per il tenore delle loro lamentele: obbligati a usare carta, matita, cartoncino e scotch, hanno dovuto prototipare a bassa fedeltà, forse per la prima volta in vita loro.

Perché è così importante il passaggio su carta? Per vari motivi.

Perché ci consente di dare libero sfogo alla creatività nel momento iniziale e generativo del processo.

Perché non ci pone limiti tecnici dettati dallo strumento e quindi modificare (e iterare) idee e soluzioni è veloce e costa poco, anche psicologicamente.

Ma, soprattutto, perché ci obbliga a focalizzarci su ciò che conta senza la distrazione del superfluo. Inutile perdersi a correggere il dettaglio quando ancora non abbiamo messo a fuoco l’idea progettuale declinandola in tutti gli aspetti connessi che la definiscono. E questo vale sia per un wireframe che per una presentazione, o per qualsiasi altro progetto, fisico o digitale che sia.

Quindi scarabocchiate, disegnate, scrivete, lasciate perdere tutto e riprendetelo dopo un giorno: la vostra idea vi ringrazierà venendo a voi in tutta la sua chiarezza. E voi alla fine avrete guadagnato del tempo prezioso.