Lavorare in uno spazio digitale

E’ uscito da poco un libro bianco, “The Digital Workplace” a cura di Infocentric Research, segnalatomi dall’ottimo Giacomo Mason.

A una prima lettura mi limito a segnalare due elementi stimolanti dai primi capitoli, che vi riporto al volo.

Il primo: la ricerca delle informazioni è una delle attivitá che porta via piú tempo e genera maggiore frustrazione fra gli utenti.

Looking for the right information to do something therefore constitutes one of the most relevant of all tasks. In fact, “searching” in all its forms is the most ubiquitous activity that information workers perform in their jobs.

A causa dell’inefficienza della ricerca (che non è circoscritta al solo motore di ricerca ma ingloba anche molti problemi correlati alla qualitá dell’informazione  e le carenze dei flussi di conoscenza) l’azienda stessa perde efficienza e, in ultima analisi, soldi. Per numerosi motivi, bene illustrati nel diagramma che segue (no, non è un’infografica!):

Impact of search in organizations
Gli effetti di una pessima gestione dell'informazione in azienda (da The Digital Workplace).

Le stime riportate nel testo indicano uno spreco di 2 o 3 mesi l’anno del proprio tempo, spesi a porre rimedio alle inefficienze legate all’informazione (cercarla, verificarla, modificarla, adattarla e via discorrendo). Mi sembra un tempo enorme, e secondo me in Italia ampiamente sottostimato.

L’altra considerazione è che i sistemi informativi attuali non soddisfano i bisogni degli utenti e, anzi, spesso sono la causa primaria dei problemi di cui sopra.

Most intranets and many other information management systems deliver only limited value to their organizations and often create as many new problems as they solve existing ones.

Le motivazioni sono varie, ma particolarmente significative per me quelle legate alla scarsa attenzione alla progettazione del sistema nel suo complesso (ottima metafora la cittá con palazzine nuove e carente in infrastrutture) e alla poca integrazione dei sistemi nei processi produttivi e nel lavoro quotidiano di chi dovrebbe usarli.

Vi rimando al testo completo per ulteriori approfondimenti.

Saper scrivere per gli utenti non richiede una laurea

A casa abbiamo da poco montato delle grate sulle portefinestre del balcone, visto che a maggio scorso dei ladri acrobati si erano arrampicati fino su e ci sono entrati in casa in piena notte (con noi dentro).

GrateCome abbiamo scelto il fabbro a cui rivolgerci? Partivamo da zero, quindi abbiamo cercato su Google. Dopo qualche ricerca, approdiamo al sito di Sicurmetal di Giovanni Marzulli. I nostri dubbi su materiali, serrature e soluzioni piú opportune sono stati presto chiariti dai dettagliati post che Giovanni inserisce puntualmente nel blog che è l’elemento centrale del suo sito.

La sera, invece di andarmene in giro, io mi metto lá e scrivo. Spiego quello che so, mi documento sulle ultime novitá in fatto di sicurezza e le pubblico. Io mi sono chiesto: “ma cosa vuole sapere la gente quando deve montare un infisso o una porta blindata?” e cerco di dare delle risposte. E funziona! Ricevo almeno 20 telefonate al giorno da gente che ha letto il mio sito.

Tra l’altro, ai clienti che arrivano dal sito Giovanni offre uno sconto del 5%.

E’ un artigiano, probabilmente non ha mai studiato marketing, tanto meno web 2.0, eppure alla soluzione a portata di mano ci è arrivato da solo. Mettendosi in gioco, mettendoci la passione per il suo lavoro, e mettendoci la faccia. E devo dire che da clienti noi siamo stati piú che soddisfatti dell’intera trattativa e esecuzione del lavoro.

Non è mai troppo tardi per rimarcare che è finita l’era dei siti vetrina, delle chiacchere vuote del marketing per infiocchettare il nulla (vedi, anzi senti i testi ridicoli degli spot di arredamento proiettati prima dei film).

Erica Swallow ci fornisce interessanti e veloci linee guida su come progettare e implementare un corporate blog che funzioni,  che puó anche essere semplice e bruttino, come abbiamo visto. I siti di piccole aziende (lei fa riferimento a dimensioni non italiane, ovviamente, ma il discorso è analogo) dotate di corporate blog ricevono  il 55% in piú del traffico rispetto a chi non lo fa. E non è un caso che al punto 4 della lista sia citato “avoid PR and marketing” (evitate PR e marketing).

Un paese di miopi e di livree

Ho ripreso a percorrere il centro da un po’ di mesi, dopo anni di gite fuori raccordo.  Tra le certezze che mi attendono ogni giorno ci sono i turisti, il prepotente di turno e la costante del 90 rotto.

Filobus 90 a Roma
L'elegante livrea ecologica del 90

Per i non romani, il 90 è una delle linee “veloci” a lunga percorrenza e, unica nel suo genere, è effettuata da un filobus doppio (pensate, ha persino un blog dedicato che consiglio ai miei colleghi come summa di esempi da non seguire). In teoria fantastico, perché elettrico. Peccato però che da ormai diversi anni le vetture si rompano in continuazione, con conseguenze devastanti sul traffico già al collasso della Nomentana e ovvi disagi per i passeggeri.

E ogni volta mi chiedo: ma perché si rompono così spesso? Com’è possibile? E la risposta che mi do è sempre la stessa: mancata manutenzione. Questo termine dovrebbe venire rimosso dal Devoto-Oli perché totalmente desueto, in Italia. Facciamo grossi investimenti sul rinnovo delle linee (la FM3 Roma-Viterbo elettrificata e raddoppiata, a suo tempo, oppure queste linee express, o anche le nuove carrozze della metro A), chiedendo finanziamenti ingenti che, suppongo, sono sia pubblici (UE) che privati.

Ma poi? Poi li lasciamo invecchiare, inesorabilmente, evitando accuratamente qualsiasi intervento volto a preservarlo in condizioni di decenza, incluse le pulizie. Lo noto quando sono in Francia, in Germania o in Spagna: i mezzi pubblici sono puliti, funzionanti, non devastati dai graffiti o dai vandali come da noi. Non sono sempre nuovi, ma sono in ottimo stato.

Noi ci lasciamo abbagliare dal fascino del nuovo, dal lucido della vernice intonsa alle imbottiture dei sedili, fino all’aria condizionata che sembra un miraggio nei corridoi asfittici delle metro romane. Ma sappiamo che non durerà.

Perché mai? Cosa ci impedisce di adottare una costante manutenzione? Non ritengo credibile che sia un problema insito nel nostro DNA e sono un po’ scettica sull’argomentazione “è culturale”: lo apprezziamo all’estero, perché in casa nostra non lo pretendiamo?

L’unica risposta che mi pare plausibile è che ci sia un interesse dietro. Un interesse sugli appalti per i mezzi nuovi che sicuramente muovono milioni di euro e un disinteresse totale dell’amministrazione nel mantenerli efficienti e usabili, così da sostituirli al prossimo giro (di mazzette).

Il fenomeno è generalizzabile a tantissime realtà. Pochi giorni fa sono stata all’Auditorium Parco della Musica per vedere uno spettacolo e oltre a quello sul palco mi è toccato sorbirmene un altro nel parcheggio multipiano. Versa in uno stato di degrado tale che viene quasi da  pensare sia stato abbandonato e non sia realmente aperto al pubblico: sporco, con infiltrazioni d’acqua che colano dal soffitto, luci rotte e lampeggianti, pieno di buche e pareti scrostate, e non menziono nemmeno la cassa. Pare di stare nel Bronx.

A volte ho l’impressione che questo atteggiamento ci descriva parecchio, come paese. Non impariamo dal passato, spendiamo in modo incontrollato e interessato nel presente, e siamo incapaci di pianificare un futuro che ci consenta di risparmiare e vivere meglio.

Gluten-free travel to London

Nielsen Norman Group

In November I will be attending the Usability Week organized by the Nielsen-Norman Group (this year in London).

I spent quite some time during the past 9 months looking for good training opportunities in UX in Europe. I was not very lucky with a couple of events that I wanted to attend, especially the UX Intensive by Adaptive Path in Amsterdam,  that I missed by a hair¹. But I’ll try again next year.

In the meanwhile I’m pretty satisfied with my choice, having identified the workshops I’ll follow for the usability week (Interaction design, Fundamental Guidelines for Web Usability and Information Architecture).

I was so excited to have this experience that the only possible small drawback in my mind was the annoying question of meals. I discovered a year ago that I’m gluten-intolerant – not coeliac yet, but still a severe intolerance. Every trip or plan from that moment on has become a bit of a challenge even with my impressive organizational skills. 😉

This time I was slightly confident that the workshop, being in London (where gluten-intolerance is widely known and appropriate menus are commonly offered), would offer me at least a choice for the meals included in the event (breaks and lunches). I wrote to the organizer asking reassurance about it and the response was way beyond my expectations: not only they assured me that gluten-free meals could be provided but they put the head-chef directly in touch with me to agree on a menu for the whole week! 🙂

This might sound silly to you, but I can assure you that when you’re dealing with bothering dietary restrictions every time someone lend you the smallest helping hand you feel absolutely grateful and cheerful. Imagine having had the opportunity to choose a personalized menu for a whole week!

If  only I needed another reason for being excited and convinced about my choice with this training, now I have it. It seems they started with the right foot already.

1 Freely translated from the Italian figure of speech "per un pelo", meaning by a whisker -actually, by a hair does exist in English... Who would have thought!

Niente nuove, buone nuove

Scrivo al volo sulla base dell’ultimo post di Jared Spool che mi ha molto divertita e pochissimo stupita.

Jared racconta di come abbiano studiato l’inclinazione degli utenti a cambiare le impostazioni dei software, per scoprire che solo pochissimi lo fanno (meno del 5% del loro campione).

Nella loro prova avevano inserito la configurazione di Microsoft Office per un’impostazione di autosalvataggio che, di default, era disattivata. Curiosi di sapere come mai, hanno contattato direttamente la casa madre per chiedere lumi e la risposta è stata la seguente:

The reason the feature was disabled in that release was not because they had thought about the user’s needs. Instead, it was because a programmer had made a decision to initialize the config.ini file with all zeroes. Making a file filled with zeroes is a quick little program, so that’s what he wrote, assuming that, at some point later, someone would tell him what the “real defaults” should be. Nobody ever got around to telling him.

Since zero in binary means off, the autosave setting, along with a lot of other settings, were automatically disabled.

La cosa non mi sbalordisce affatto, essendomi trovata decine di volte in situazioni analoghe, sia da utente che, purtroppo, da progettista o designer che interveniva su qualcosa di giá esistente fatto da altri.

Il programmatore non va lasciato solo, perché altrimenti fa esattamente quello che farebbe chiunque altro: va per il minimo sforzo sperando di doverci mettere una piccola pezza dopo, se mai.

Ma soprattutto, perché il programmatore scrive codice in anticipo rispetto alla decisione di design? I miei amici dell’agile ma anche UX in genere non sarebbero affatto d’accordo.

L’altra cosa divertente che emerge dal pezzo di Jared è che il famoso 5% di customizzatori cui sopra, indovinate da chi è composto? Da programmatori e designers. Quelli che in genere sono poi responsabili di prendere le decisioni progettuali che si rifletteranno sull’usabilitá del prodotto digitale.

Grazie a questi dati possiamo a maggior ragione dire che chi progetta non coincide con l’utente: non ragiona come lui, non naviga come lei, e non usa i settaggi che gli mettiamo a disposizione. Quindi testiamole con loro, eh?

“La spesa che non pesa” e invece è pesantissima.

Cara Coop,

io ti sono davvero molto grata per aver messo su un sistema di ordine online e consegna a domicilio della spesa. Chiunque lavori a tempo pieno in una città cronovora¹ come Roma sa benissimo come questo servizio possa svoltare la giornata, la settimana e soprattutto i fine settimana, che tutto si vuole fare tranne che spenderli in fila al supermercato.

Certo però che già che c’eri, potevi anche sforzarti un pochino di più e progettarlo meglio il sito, eh? Ti faccio qualche piccolo esempio, giusto per spiegarti cosa intendo.

Il simpatico menù collassabile a sinistra (nomen omen!), quello con millemila categorie alimentari e non: ti eri accorta che non è pienamente compatibile con Chrome? Oppure hai mai provato a usarlo su un net-top o un qualsiasi aggeggio con uno schermo a 10-12 pollici? Ecco, c’è da diventarci matti.

E se io volessi ovviare al menù, magari anche perchè certe categorie e sottocategorie sono discutibili (lo yougurt intero biologico bianco sta sotto bio ma non sotto bianco, ed entrambi sotto intero e non sotto salutistico)? Proviamo con la ricerca prodotti. 5 su 10 mi darai un simpatico errore (java, sql o oracle, fate voi) come questo:

Ma poi mi accorgo che c’è la ricerca veloce! Fantastico, ma come mai c’è la ricerca veloce? Sarà mica che quella standard è…lenta? Mah, proviamo. Ah, ecco, la ricerca veloce in realtà è più intelligente dell’altra perché visualizza i risultati con dei breadcrumb alle categorie di appartenenza (in effetti, utile). Peccato però che i link dei breadcrumb non sono cliccabili. Vuoi vedere che in fondo non si tratta di un breadcrumb vero?

Proviamo a tornare indietro allora… vado con il back del browser (come fa il 90% degli utenti)? Sbagliato!! La pagina viene ricaricata e la mia ricerca è perduta per sempre, così come i prodotti nel carrello! E giù improperi e disperazione e anatemi.

A meno che io, saggiamente, non abbia salvato il carrello. Io alla terza spesa persa con carrello stracolmo, ho imparato a salvare il carrello dopo ogni singolo prodotto aggiunto. Una cosa da demolire la pazienza anche di Madre Teresa di Calcutta (pace all’anima sua). Non solo ricarica la pagina ogni volta, ma un simpatico pop-up mi informa che il carrello è stato aggiornato correttamente. Solo che devo cliccare su OK per confermare al sistema che sì, ho letto, grazie. Centoventiquattro click su OK per una spesa media. Ma ci sta, suvvia: almeno sto tranquilla.

…sicura sicura? Ieri faccio la spesa e non la completo perché non so quando sarò in casa per la consegna. Completo il carrello e lo salvo, dandogli persino un nome: “spesa dell’11 settembre” (la cabala doveva pur dirmi qualcosa).

Oggi scopro di avere uno spazietto libero e corro a recuperare il carrello:  il nome del medesimo non lo trovo da nessuna parte (ma magari sono io, l’utonta²). Provo a cliccare su “carica carrello salvato” e mi compare effettivamente nella pagina. Ma non è mica fatta, eh? Il carrello “caricato” non è veramente inserito nel carrello: è solo richiamato nella pagina! Quindi in fondo in fondo alla pagina (sia mai che lo notiamo subito) compare la scelta di “aggiungere al carrello” oppure “sostituire al carrello”. Visto che avevo un prodotto nuovo messo in carrello oggi, clicco su “aggiungere”. Ovviamente non si aggiunge nulla, e me ne accorgo perché fa fede il conto in euro che mi compare sulla destra della pagina. Resta fermo su un paio di euro. Non può essere.

Allora riprovo con “sostituisci”, tanto quell’unico prodotto ci metto un attimo a ripescarlo e aggiungerlo dopo, no? No. L’intero carrello salvato si cancella e il mio nuovo carrello è composto dal pacco di zucchero di oggi. Un bel pacco, è il caso di dirlo.

Io ci rinuncio.

I ragazzetti che mi mandi a casa sono simpatici e sorridenti, e questo è bellissimo, lo so.

Però io ci combatto tutti i giorni coi siti non usabili, per lavoro, per piacere, per la contabilità, per la banca: se ora devo impazzirci anche per la spesa online, che in teoria dovrebbe farmi risparmiare tempo, allora sai che ti dico, cara Coop? Allungo sulla via del ritorno e vado all’Auchan. Non per ripicca, è che hanno molte più cose senza glutine di voi.

Senza rancore.

(Ma tu, cara Coop, ci hai mai pensato a quanti  mancati introiti ti perdi per strada per non aver testato a sufficienza l’usabilità e l’affidabilità del sistema? Ecco. Fatti due conti, e se non sei completamente imbecille, assumi uno UX designer per rifarti l’e-shop come si deve.)

¹Me lo sono appena inventata questo termine, d'altra parte chi vive a Roma sa di cosa parlo, chi no... questo è il mio blog, faccio come mi pare! ;)
²Termine che odio, utilizzato in genere dalla IT per deprecare gli utenti quando dimostrano la pessima usabilità delle loro soluzioni digitali.

Arrivano gli e-books? Billy si allarga

Anzi, si espande in profonditá.

La notizia la leggo su Corriere.it nella rubrica Ehi Book! di oggi: Ikea ridisegna Billy (la piú venduta libreria low-cost, tanto da aver prestato il nome alla rubrica sui libri del TG1) in previsione dei cambiamenti di abitudine dei lettori.

Meno libri cartacei sui nostri scaffali, quindi a cosa servirá la libreria? A riporre oggetti “di valore” quali libri rari, edizioni da collezionisti e oggettistica. Quindi aumenta la profonditá e si aggiungono le ante in vetro (a dire il vero giá disponibili da un bel po’) perché tanto la lettura quotidiana ed economica si sposterá sui tablet e gli e-book.

L’articolo cita un pezzo dell’Economist, Digital expectations, dove si fanno delle considerazioni interessanti sui pro e i contro della digitalizzazione: la rimessa in circolo di vecchi titoli dimenticati, i pericoli incombenti della pirateria e anche -meno male!- il problema del prezzo degli e-book, giudicato spesso troppo arbitrario e elevato.

Non mi sento di fare previsioni (e mi diverto poco a farne, anche se sembra un passatempo molto in voga nella blogosfera) ma l’argomento prezzo mi sembra cruciale. Come il settore musicale ci insegna, secondo me la pirateria si combatte in un solo modo: abbassando i prezzi -e magari inserendo contenuti aggiuntivi, gadget o altro all’edizione digitale, per giustificare l’acquisto dell’originale rispetto all’edizione pirata.

Se un e-book costasse 2-3 euro, o anche 5, non perderei nemmeno un minuto a cercare la versione pirata in rete, per una semplice questione di convenienza. Se invece mi costa come la controparte cartacea, 10-15 o anche 20 euro (grazie anche alla nostra assurda legge contro gli sconti sui libri) ecco che diventa competitivo andare a perdere un po’ del mio tempo libero per cercarmi la copia pirata.

Un commento dell’amministratore delegato di Harper-Collins che mi lascia perplessa è la supposta difficoltá nella promozione dei libri qualora le librerie -come paventato- dovessero chiudere i battenti per via della digitalizzazione.

Publishers are increasingly trying to push books through online social networks. But Mr Murray says he hasn’t seen anything that replicates the experience of browsing a bookstore.

Veramente? Io invece ho  la sensazione che qualche volta l’esperienza digitale sia piú stimolante rispetto a quella reale. Non vi siete mai persi in libreria cercando di capire la loro catalogazione bizzarra, o per il fatto che esistano gli scaffali a scorrimento che nascondono metá dei libri esposti, venendo meno l’ordine alfabetico (unica áncora di salvezza per navigare in mezzo al mare di titoli)?

Non so, a me questi toni apocalittici e moralistici non piacciono molto, e sono altresí convinta che le librerie non scompariranno, ma dovranno evolversi: offrendo un’esperienza ai lettori che non si limiti al mero acquisto dei libri cartacei, aggiungendo servizi, magari integrati fra digitale e reale o altro ancora che qualcuno inventerá.

C’è spazio per la crescita e per le opportunitá: magari si penserá a nuovi ruoli e quindi si creeranno dei posti di lavoro, assieme ai servizi. Invece di lamentarsi su cosa andiamo a perdere, perché non cominciare a immaginare cosa potremmo inventare?

Di fidanzamenti, mappe e maghi

Sul blog di Google trovo sempre spunti interessanti e spesso qualche sorpresa.

Per forza – direte voi- è Google!

E’ vero. Da Google ci aspettiamo sempre un’idea geniale e qualche gioco o intrattenimento originale, manco fossero dei prestigiatori. Ma forse lo sono: prestigiatori 2.0, l’evoluzione dei maghi d’altri tempi in chiave tecnologica.

Di questo curioso post su come porre la fatidica domanda alla vostra fidanzata usando Google Maps, mi ha colpito una serie di cose. Tranquilli, non ci sono conigli dal cappello (in compenso, ci sono i fiori).

Il racconto è personale, decisamente. Svela dettagli sulla relazione fra il programmatore e la sua fidanzata, sui luoghi della loro storia, ed è forse anche per questo che il post si legge volentieri: immaginatevi la noia di un articolo che narra delle possibilitá teoriche offerte dalle mappe di Google…io non lo leggerei mai.

L’autore ci racconta cosí di un’aggiunta ad hoc sviluppata da lui e dai suoi colleghi per fare inserire delle password ad ogni tappa del viaggio. A noi sembra una simpatica caccia al tesoro, ma non vi vengono in mente altre decine di applicazioni di questo sistema di autenticazione? A parte quella ovvia del rapitore che deve guidare l’uomo col riscatto da un punto all’altro della cittá facendo perdere le sue tracce, intendo.

E qui torniamo all’ormai noto modello di produttivitá adottato da Google (e sognato da tantissimi italiani): il 20% del nostro tempo (pagato) per poter fare quello che ci pare. Questo per me ne è un chiarissimo esempio: Ari Gilder ha lavorato sulla sua piattaforma ideando nuove feature e combinando elementi  esterni (touchpoint?) con l’applicazione su mobile per rispondere al suo bisogno di offrire un’esperienza memorabile alla donna che ama.

Dai, non è roba da poco. E poi la storia ha anche il lieto fine: lei, ovviamente, gli ha detto di sí.

Google engineer Ari Gilder proposes to his girlfriend via Google Maps

Windows 8 preview

Ecco qui la preview della user experience del nuovo sistema Windows 8 in uscita nei prossimi mesi.

Di primo acchitto mi colpiscono alcune cose in particolare.

La fruibilità del tablet con l’uso dei pollici  per navigare e digitare mentre si tiene il tablet orizzontale (molto ergonomico, a mio avviso).

Il multitasking, in apparenza molto versatile, con affiancamento delle app alla gestione file o dei multimedia e facilità nelle operazioni.

Il supporto cross-platform per le app che faciliterà la fruizione delle stesse in molteplici modi (mobile, tv, tablet, pc, notebook). Questo aspetto tra l’altro presenta una sfida interessante per i designers che nel progettare le app potranno/dovranno tener conto delle diverse interfacce e interazioni.

A questo punto sono curiosa di provarlo. Nel frattempo, attendo le review di chi ci metterà le mani sopra.

My wishlist concerning Amazon wishlists

A shot from my Amazon wishlist

I’m feeling generous lately, especially when it comes to websites that I like or visit often. While surfing around I can’t help it, I always think in terms of  “oh, it’s not possible to do this, what a pity!” or “I would have this sorted by…”.

Since I’m struggling a lot to finalize my Amazon wishlist before I actually proceed with the purchase, I’d like to share a number of things I would improve in its management.

  • Display the total cost of a wishlist at the bottom – good if I need to stick to a budget. Even better if I could select certain items in the wishlist (check-boxes) and have the total amount updating instantly. (Hey, this is what I wish so no limits in my imagination!)
  • Be able to have items repeated in more than one wishlist – I might want to share different lists with different groups of people and mix the items accordingly.
  • Be able to move the entire list to the cart for purchasing it all (Amazon, think it twice, it’s convenient for you!).

These are my 5 eurocents to Amazon.

What other feature would you like?