Cosa si impara a insegnare la UX

La settimana del mio workshop allo IED si è conclusa e posso tirare le somme su cosa mi abbia insegnato.

Brainstorming post-ricerca con gli utenti: mappatura
Brainstorming post-ricerca con gli utenti: mappatura

L’ultimo giorno ho posto ai ragazzi una serie di domande per analizzare quanto avevamo fatto insieme. Voglio provare a farmi le stesse domande e vedere cosa ne esce fuori.

Qual’è stata la cosa che ti ha sorpreso di più?

Essere stata in grado di dare un feedback costante, motivato e circostanziato sul lavoro dei ragazzi. Mi ha dimostrato in modo tangibile che il metodo dello user-centered design ha basi solide e molteplici applicazioni.

Quale è stata la cosa che ti è parsa più difficile?

La fatica fisica oltre a quella mentale. Rispetto a una lezione frontale il workshop ti prosciuga di energia, nonostante lavorino loro!

Prototipo allestito per il test di usabilità
Prototipo allestito per il test di usabilità

E quale quella più divertente?

I test di usabilità. Vedere i ragazzi soffrire nel testimoniare che il loro prototipo aveva dei problemi è stato bellissimo. E’ un momento di svolta dell’intero processo, dove metti alla prova le tue convinzioni e le devi lasciar andare per un bene superiore, che è quello di soddisfare il tuo utente.

Uno dei prodotti ideati dai ragazzi: un free-press per la terza età.
Uno dei prodotti ideati dai ragazzi: un free-press per la terza età.

Cosa ti porti a casa da questa esperienza?

La soddisfazione di essere riuscita a instillare dei dubbi nelle testoline in cerca di certezze.

La costante sfida con il mio carattere e le personalità degli altri, per costruire un rapporto proficuo e di crescita.

La convinzione ancora più radicata che amo questo lavoro.

Prima di Internet: papà, mamma, il telefono e il dizionario

Durante una notte insonne per i postumi influenzali mi sono tornati in mente alcuni episodi della mia infanzia e adolescenza che tradiscono l’appartenenza alla mia generazione. Lo spartiacque fra quelli nati negli anni ’70 e quelli nati nei decenni successivi è, manco a dirlo, Internet. E  per quelli come me, le questioni quotidiane si risolvevano in altro modo.

Se ascoltando il TG incappavo in una parola nuova andavo da mio padre, il depositario del sapere di casa. Lui mi dava sempre la stessa risposta: “Cercalo sul dizionario”. Da piccola mi faceva arrabbiare da matti ma crescendo ne ho capito l’importanza, anche se lui sostiene di averlo detto più che altro per togliermi di torno.

Se invece c’era da decifrare un fatto di cronaca o una situazione politica, allora mi dava qualche spiegazione in più e in genere finiva col consigliarmi un paio di libri di storia (che io, confesso, non ho mai letto). Però era rassicurante sapere che lui sapeva.

Geir_Moen_95

Mia madre invece assolveva a un altro compito, quello di segugio. Sarà stata la sua formazione in biblioteconomia, fatto sta che molto prima di Facebook lei era in grado di ricavare informazioni preziose su chiunque. Come quella volta che, vedendomi diventare fan dell’atletica leggera per via del velocista norvegese Geir Moen, scrisse una lettera al suo ufficio stampa che mi rispose inviandomi una sua foto con autografo, qualche settimana dopo. Sembrava impossibile!

La questione in questo caso, era: come diamine si trovano i recapiti dell’ufficio stampa di un atleta straniero? Si facevano telefonate e si chiedevano indicazioni, spesso ottenendo altri numeri, e si proseguiva nel percorso sperando di arrivare a destinazione, prima o poi. Parlare molte lingue era sicuramente un grosso vantaggio. Telefonare all’ora giusta, durante le ore d’ufficio e non la pausa pranzo, era qualcosa da considerare attentamente se non si volevano perdere giorni preziosi.

TuttoCitta87

Ma la vera sfida, da romani, era ovviamente quella di decidere che strada fare per arrivare da qualche parte. Su queste cose non esisteva un esperto di riferimento in famiglia: lì era guerra aperta fra mamma e papà, a suon di “ma che dici, è meglio l’Olimpica, a quest’ora!” e “ma no, taglia dal centro che fai prima!”. E la cosa drammatica era cercare di ascoltarli e prendere una decisione avendo di fronte le mappe del Tuttocittà, dove naturalmente non esisteva traccia della cosiddetta Olimpica, perché i toponimi e i nomi popolari già discordavano.

Non credo di avere una marcia in più per aver vissuto queste cose. Però ricordo lo sforzo e la fatica nel mettere insieme le informazioni e discriminarle e la soddisfazione finale di ottenere il risultato, che a volte sembrava davvero un miraggio. Mi permette di apprezzare, ogni giorno, il fatto di girare con un motore di ricerca in tasca e poter sapere subito cosa significa una parola che non conosco.

Cogliere il meglio da ciò che ci capita: anche la celiachia

Pane veloce senza glutine
Pane veloce senza glutine (ricetta linkata)

Giorni fa ho letto un post di @LaCuochina che mi ha fatto molto piacere: 10 motivi per cui è (quasi) bello avere la celiachia.

Mi hanno diagnosticato la gluten sensitivity (ipersensibilità al glutine) oltre due anni fa e leggere il pezzo mi ha colpito per lo spirito ottimista e positivo dell’autrice, che mi appartiene, e per i contenuti in cui mi sono ritrovata anche io.

Alla fine del post chiede di risponderle con altri motivi personali per cui riteniamo che essere intolleranti al glutine ci abbia insegnato qualcosa. Di seguito i miei.

Ho imparato che l’essere umano si adatta a tutto, e che la gestione delle privazioni è una battaglia solo psicologica. Anni fa pensavo di morire quando mi accorsi di non digerire il latte, io che ne bevevo due litri al giorno. Eppure mi sono resa conto che potevo essere felice anche senza berlo più, senza mozzarella di bufala o stracchino. Lo stesso dicasi per il glutine: golosa come sono credevo di impazzire all’idea di non potermi più fermare di fronte a una pasticceria per strada o che avrei sofferto vedendo gli altri mangiare una torta a tre strati. E invece no: non mi viene voglia di assaggiare niente, non è una sofferenza rinunciarvi. E la cosa sorprende me prima degli altri.

Sono diventata più attenta alle intolleranze o problemi altrui: non solo alimentari, ma di qualsiasi genere. Perché quando cominci a percepirti diverso e sperimenti sulla tua pelle i problemi quotidiani o le reazioni delle persone intorno a te, allora la tua mente si apre. E di colpo presti attenzione a tante cose che prima erano invisibili, e diventi più sensibile. Questa è una cosa che se si potesse insegnare nelle scuole anche con semplici giochi di simulazione, io la sponsorizzerei. E’ una crescita enorme.

Puoi avere una misura piuttosto diretta di quanto premurosi siano i tuoi amici in base a come si attrezzano per te. Ti commuovi di fronte a una cena interamente senza glutine che la tua amica ha preparato studiando e scaricando ricette da Internet, o per le telefonate dal supermercato dei tuoi amici che non ricordano la marca di patatine che puoi mangiare anche tu. Tu non vorresti creare a problemi a nessuno eppure loro ti stupiscono con la loro gentilezza e cortesia. E’ una coccola che fa tanto, tanto piacere.

Già amavo cucinare, ora ho un’ulteriore sfida da vincere: farlo mantenendo gusto e sapore ma senza usare glutine. Che significa ingegnarsi, adattare ricette, sperimentare, trovare nuove fonti, usare più spesso ingredienti che non avevi mai usato, naturalmente privi di glutine. E’ divertente poter continuare a imparare!

In definitiva, è un’esperienza: può insegnarti qualcosa se sei aperto all’apprendimento, a cambiare punti di vista, a crescere e metterti alla prova. Come qualsiasi altra esperienza della tua vita.

Il modo in cui imparo nuove cose

In questo periodo, per caso e in modo deliberato, sto riflettendo su certi aspetti del mio percorso professionale e del mio vissuto personale.

Alcuni nuovi colleghi mi hanno fatto ricordare cose sepolte nella mia memoria riguardo al mio modo di imparare. E mi sono resa conto che questo non è mai cambiato, nella mia vita. Gli argomenti oggetto di studio, invece, moltissimo.

I miei mi raccontano che da bimba usavo la ciambella in spiaggia, per imparare a nuotare. Un giorno, di colpo, mi dirigo verso l’acqua senza ciambella, sicura. Mia madre mi rincorre urlando, e io serafica le rispondo “Non ne ho bisogno, mamma. So nuotare, ora”. E così è stato.

Stesso discorso con la bicicletta e le rotelle: di punto in bianco dissi a mio padre di togliermele, che non ne avevo più bisogno, che ormai sapevo andarci senza. E inforcata la bici sapevo effettivamente farlo.

Ricordo abbastanza chiaramente quella sensazione di sicurezza, di maturità, che mi facevano sentire in grado di provarci da sola. Che mi rammenti, avevo sempre ragione.

In seguito è stato così imparare nuove lingue, riuscire a prendere l’autobus da sola, ma anche imparare una qualche nuova disciplina. Ho bisogno del mio tempo: incamero informazioni, leggo tantissimo, osservo chi quella cosa la sa fare, e lo faccio a lungo, senza analizzare né tirare le somme. In quei momenti sono una spugna, assorbo e basta, in modo avido e interessato, e non mi basta mai.

Poi succede qualcosa, senza preavviso: c’è un click nella mia testa, un momento in cui mi fermo, non ho più voglia di aggiungere elementi, perché l’argomento in questione ha assunto una struttura di senso compiuto, dove tutto ciò che ho incamerato ha un suo posto preciso, e si relaziona al resto. È tutto chiaro. In quel momento mi sento pronta a provarci, e mi lancio.

Per me questo processo è naturale e istintivo, ma mi rendo conto che per gli altri probabilmente non lo è.

Qualcuno fra voi ha ragionato su come impara nuove cose? Sarei curiosa di sentirlo.

copyright © 2006 sean dreilinger

10 cose che ho amato di NYC – Ten things I loved about NYC

Prima di tutto, questo è un esperimento: un post in due lingue. E avrei dovuto chiamare il post le 10 cose di Manhattan, visto che sono stata quasi solo lí, ma pazienza.

First of all, this is an experiment: a bilingual post. And I should have called it 10 things about Manhattan, since I’ve been only there, basically.

E ora, via con la lista, in ordine sparso.

And now, let’s move to the list (in random order).

1. Lo skyline – The skyline

Arrivati a JFK  di notte e preso il taxi, vedere sullo sfondo quelle linee cosí familiari in uno sfavillio di luci mi ha tolto il fiato.

Landed at JFK at night, taken a cab and seen that familiar sparkling skyline: it left me breathless.

2. Prendere i taxi al volo – Taking a cab

Come nei film, sia quando si fermano e ti senti Dio, sia quando piove e non ne trovi manco mezzo.

Like in the movies – when they actually stop you feel like being God, and when it’s pouring rain you see none around.

3.  Chelsea Market

Ricavato da un ex biscottificio è ora un insieme di locali, forni e negozi in ambientazione steam-punk. Meraviglioso.

Originally a cookie factory currently turned into a steam-punk melting pot of shops, drugstores and bakeries. Adorable.

Central Park on a sunny day4. Central Park

Non ci sono parole per descriverne la bellezza. Vasto, curatissimo, variegato e pieno di scoiattoli. Da sogno.

There are not enough words to describe its beauty. It’s enormous, incredibly looked-after and with plenty of squirrels. A daydream.

5. La gentilezza della gente per strada – The kindness of people in the street

I sorrisi, gli aiuti per fermare i taxi, il chiedere scusa, il chiedere da dove venivamo, la battuta mentre facevamo delle foto. Mi sono sentita coccolata per una settimana intera (ed è stata dura rientrare a Roma).

The smiles, helping us stopping cabs, the apologies, asking where were we from, the jokes while we’re taking pictures. I felt taken-care of for the whole week (and coming back to Rome was really tough).

Squirrel6.  Gli scoiattoli – Squirrels

Come i gatti per Roma, sono ovunque e sono bellissimi quando si rincorrono con le loro lunghe code. Per noi sono inusuali, ma forse per i newyorchesi sono invece banalissimi animali.

Like it happens with cats in Rome, squirrels are everywhere and are the cutest when chasing each other, showing their long tails. For us they are so inusual, but maybe for NY citizens are just ordinary animals.

7. Washington Square

Sará perché l’ho vista con il sole, ma oltre che simbolo di moltissime scene girate lí è esattamente come la descrivono. C’erano studenti in pausa a prendere il sole, altri con la chitarra a cantare e ballare, famiglie con bimbi, artisti improbabili e anche un pianista con un pianoforte a coda e una vecchietta che lo ascoltava rapita, alle sue spalle.

Maybe I’m biased because of the sunny day in which I visited it, but on top of being representative of many movies shot there it’s precisely as described. There were students sunbathing or playing guitar, singing and dancing, as well as families with kids, weird performers and even a pianist playing a grand piano, with an elder woman listening behind his back, entranced.

Times Square8. Times Square

Non è definibile, non è quantificabile: è che quando sei lí, in particolare di notte, è semplicemente un posto troppo forte! E poi vicino ci sono i teatri di Broadway.

Undefinable, unquantifiable: it’s just that when you’re there, especially at night time, it’s simply a super cool place to be! Also, Broadway theaters are in the nearby.

9. La Mecca della fotografia – The Mecca of photography

Ovviamente sto parlando di B&H, il colosso della vendita al dettaglio di audio, video e fotografia, e il suo superstore sulla 9a avenue. Il posto merita una visita anche se non siete appassionati per la ricchezza di articoli, per l’organizzazione dei banchi vendita e soprattutto per la logistica che bisogna vedere in funzione. I prezzi sono ottimi, ma evitate di chiedere lo sconto, vi riderebbero in faccia.

I’m obviously referring to B&H, the giant of photo-audio-video equipment and their superstore on the 9th Avenue. The place deserves a visit even if you’re not a photography geek; it’s full of well-presented merchandise, the organization of benches is superb and you have to see by yourself the logistics they put in place. Prices are excellent but avoid asking for a discount: they’ll laugh at your face, probably.

Friedman's lunch with myself and a waiter

10. Last but not least, Friedman’s Lunch (at Chelsea Market) 

Il posto dove abbiamo fatto colazione quasi tutti i giorni e dove siamo tornati a cena due volte. Il miglior ristorante glutenfree che abbia provato durante la settimana a Manhattan. La semplicitá e qualitá degli ingredienti stagionali e locali e la maestria nella preparazione (ottima anche per il senza glutine) sono la chiave del loro successo. Ma anche la cortesia e simpatia dei tanti camerieri ha fatto sí che diventasse il nostro preferito. Bravi, continuate cosí!

We had breakfast here almost every morning and we came back for dinner a couple of times. To me, the best glutenfree restaurant that we tried during the week in Manhattan. The simplicity and quality of seasonal and local ingredients combined with the mastery of food preparation (also on the glutenfree dishes) are the key for their success. But also the courtesy and liking of the many waiters contributed to making it our favourite place. Well done, keep up with the good work!