Toglietemi tutto, ma non il mio touch screen!

Quando non riesco a fare la spesa online preferisco l’Auchan: grande assortimento di prodotti senza glutine, anche etnici, e piuttosto vicino a casa.

La settimana scorsa ero lì dopo pranzo in mezzo alla settimana che mi godevo le corsie vuote, quando noto qualcosa che non va. Ero nell’area ortofrutta in cerca di banane e mi accorgo che diverse persone sono in fila alle bilance e si guardano attorno disorientate. “Saranno rotte o sarà qualcuno che non le hai mai usate”, penso. Quando tocca a me mi avvicino a pesare le mie banane, spavalda, con un’aria da manovratrice di bilance digitali consumata, e mi trovo davanti questa roba qui:

Nuove bilance Auchan

“Ma come, è sparito il touch screen con tutti i tastini con la frutta e la verdura!?” Esatto. Di colpo tutta la mia sicurezza svanisce in un lampo.

E quindi come funziona adesso? Funziona che invece di ricordarti il numero a due cifre del prodotto e cercarlo in mezzo ai disegni di frutta o verdura, ora ti devi ricordare un numero a tre cifre e poi devi digitarlo (senza errori) su un tastierino. Su quei pulsanti bianchi con i numeri. No, non sono i tasti colorati, che si vedono di più, quelli non ti servono a niente e devi ignorarli: sono quelli bianchi sulla destra. Sulla sinistra sono bianchi ma vuoti, tipo disabilitati, lasciali perdere. Ecco.

Vado a riguardare il numero alla cassetta delle banane, torno, provo a digitarlo e non succede niente. O meglio, succede che la bilancia fa uno strano bip, e forse compare qualcosa sul display, ma niente che mi indichi cosa fare. Ci riprovo, mi guardo intorno, ma le persone di prima sono scomparse e non c’è nessuno a cui chiedere (“Ecco di cosa parlavano quelli lì!” ). Tolgo la busta dalla bilancia e ricomincio da capo. Al terzo tentativo alzo lievemente la testa e vedo quell’orribile cartellone giallo che pensavo fosse un avviso di pubblica sicurezza o un disclaimer, e invece è una pubblicità della campagna Auchan per risparmiare. Aspetta un attimo: pensa un po’ che fortuna, è anche un cartello di istruzioni della bilancia. Strategicamente posizionato accanto all’estintore per l’emergenza, con cui condivide alcuni colori, e con il suo aspetto allarmistico mi aveva proprio depistata. Ci sono scritti persino i codici di alcuni prodotti (ma mica tutti quelli del reparto, non c’è posto). E in fondo, ecco la cosa che mancava: spingere il tasto V1, altrimenti non si stampa lo scontrino.

Il tasto V1, mica il tasto “Stampa” o “OK”, no. V1. Mi viene quasi voglia di fare una ricerca su Google per capire da dove venga fuori il nome del tasto, ma in fondo no, chissenefrega. Devono averlo pensato anche loro: che ce frega dei clienti che diventano scemi? Lasciamolo così, impareranno. Gli abbiamo pure scritto le istruzioni, in rosso e nero su giallo! Se non le vedono sono davvero stupidi o cecati.

Io mi immagino una riunione, in una delle stanze dei dirigenti Auchan, con un commerciale della ditta di bilance Acme che gli racconta di quanto sia preciso e innovativo questo nuovo modello XYZ, di quanti miliardi di funzioni è possibile attivare grazie ai duemila tasti di cui è provvisto. Magari gli avrà anche detto che le icone sono superate, oppure che con quel sistema era molto complesso per loro aggiungere un prodotto nuovo. Me lo vedo il dirigente entusiasta a firmare il contratto di fornitura convinto di aver fatto un’ottima scelta.

Eppure gli sarebbe bastata una passeggiata nelle corsie dei suoi supermercati, osservando cosa fanno le persone di fronte alle nuove bilance, per comprendere di aver fatto davvero una grossa cavolata.

Due link sull’usabilità e uno sulle gesture

Vi avevo accennato che stavo preparando un webinar sull’usabilità: l’ho tenuto, è andato bene (a giudicare dalle reazioni) e quindi vi segnalo le slide annotate con cui potete scoprirlo o rinfrescarlo, se l’avete seguito. Occhio che in Slideshare le note compaiono in un tab un poco sotto le slide, che non si vede facilmente (l’usabilità!). Cercatele per seguire meglio il discorso, visto che le mie slide sono quasi prive di testo.

Oggi sono stata ospite di un blog, quello di Giacomo Mason sulle Intranet, per parlare di test di usabilità in ambiente intranet, per l’appunto. Fatemi sapere se trovate utile il post.

Infine, vi segnalo questo studio interessantissimo sulle gesture: si tratta di un lavoro fatto da UX Fellows (una rete di professionisti UX internazionale, di cui fa parte l’italiana UserTestLab) sui pattern e le differenze culturali nell’uso delle gesture a distanza. Guardate il video e scaricate lo studio, è divertente e ne vale la pena.

A presto, con un post un po’ più corposo! 🙂

User-centered design applicato ai giochi per gatti

Qualche giorno fa ho sorriso molto nel ricevere il pesce d’aprile che ci ha riservato Jakob Nielsen: un articolo che riportava nella sua consueta struttura un verosimile studio di usabilità condotto sui gatti per le applicazioni touch, con conseguenti linee guida di progettazione.

Pur essendo uno scherzo vi confesso che, avendo due gatti in casa, l’osservazione di come interagiscano con i giochi per me è affascinante al pari di assistere a un test di usabilità con gli umani. E mi chiedo come possiamo applicare i nostri metodi per progettare un’esperienza utente soddisfacente per essere così diversi da noi.

Byte e games for catsSull’Ipad ho installato un’app pensata per i felini, Games for cats: tra i possibili scenari ce n’è uno che simula un laser pointer, che normalmente fa impazzire qualunque gatto, ma che in versione schermo non rende il contrasto necessario (il laser ha la sua massima efficacia al buio) e infatti viene spesso snobbato dai miei pelosi. L’altro scenario, quello prediletto, è la caccia al topolino: i gatti ci si fiondano con entrambe le zampe per prenderlo, e quando ci riescono squittisce. Ma spesso lo cercano al di fuori dello schermo, convinti che si sia nascosto sotto il tablet quando scompare dal loro campo visivo. Infilano quindi le zampe sotto, cercando di stanarlo, e rimangono perplessi del fatto che riappaia sempre sopra. In questo caso la situazione diventa preoccupante per me perché ho paura che mi capovolgano l’Ipad o lo facciano cadere dal divano, quindi li fermo!

Hagen massage center for cats

Esiste poi una linea di giochi fisici studiata appositamente per i felini, di cui ho acquistato al momento un solo pezzo ma che mi ha colpito molto per l’approccio di design. La linea Cat-it della Hagen propone infatti dei giochi che stimolano tutti i sensi del gatto e che mescolano il gioco alle necessità quotidiane di cibo o altro.

Io immagino che loro progettino i prodotti all’incirca come noi ci occupiamo di un artefatto digitale. Provo a indovinare:

Avranno fatto un’osservazione…felinografica? Osservare di nascosto come si comportano i gatti che vivono all’esterno, in appartamento, e provando a stimolarli non con domande ma con oggetti vari per testare le loro reazioni.
Avranno forse realizzato un benchmarking sugli altri giochi e accessori disponibili sul mercato, magari addirittura vedendo come i gatti ci interagiscono.
Si saranno documentati sulla fisiologia e sull’etologia feline per capire i loro bisogni quotidiani, dato che non possono chiederglieli. Qualcosa come il farsi le unghie, lo strofinare le ghiandole del muso negli angoli, la necessità di “fare la pasta”, la voglia di caccia e di gioco, l’appetito, e così via.
Avranno quindi progettato dei prototipi con varie forme, materiali e stimolazioni sensoriali, e li avranno testati su dei campioni di gatti. Chissà se hanno considerato (come Nielsen suggeriva scherzando) gatti di età diverse, di razze diverse, di provenienze diverse (domestici e semi-randagi). A pelo lungo e pelo corto? Sterilizzati o meno?

Forse avranno persino tenuto conto dei bisogni di altri utenti apparentemente secondari: gli umani che convivono con i felini! Gli oggetti infatti sono destinati a stare per lo più dentro casa. Saranno quindi esteticamente gradevoli? Saranno pesanti o leggeri? Smontabili o interi? Saranno lavabili? Hanno parti che si possono sostituire? E infine, quanto costano?

Dato il successo dei loro prodotti immagino che l’azienda abbia lavorato più o meno così. 🙂

Certo mi piacerebbe sapere i dettagli il processo che hanno seguito. Ancora di più mi piacerebbe cimentarmi con prodotti così lontani da quelli che progetto normalmente. Chissà, potrebbe succedere!

Sforzarsi di progettare su carta

appunti per le mie slide di usabilità

Sto preparando le mie slide per il webinar di usabilità di base (ci sono ancora posti, se volete!) e mi sto sforzando di lavorare solo con carta e penna fin quando tutti i concetti non siano ben delineati, non abbia trovato una sequenza logica precisa e non sia arrivata al numero giusto, che in genere equivale al numero di minuti di presentazione/2, per me.

Mi accorgo che è uno sforzo costante resistere alla tentazione di aprire il programma sul PC e iniziare a impaginarle. Ciò nonostante resisto e vinco la mia battaglia interiore, perché lavorare a bassa fedeltà è utile non solo quando si progettano siti web: lo è sempre.

I ragazzi del workshop sulla UX mi hanno detto che questa è stata una delle sfide maggiori per loro, e me ne sono accorta per il tenore delle loro lamentele: obbligati a usare carta, matita, cartoncino e scotch, hanno dovuto prototipare a bassa fedeltà, forse per la prima volta in vita loro.

Perché è così importante il passaggio su carta? Per vari motivi.

Perché ci consente di dare libero sfogo alla creatività nel momento iniziale e generativo del processo.

Perché non ci pone limiti tecnici dettati dallo strumento e quindi modificare (e iterare) idee e soluzioni è veloce e costa poco, anche psicologicamente.

Ma, soprattutto, perché ci obbliga a focalizzarci su ciò che conta senza la distrazione del superfluo. Inutile perdersi a correggere il dettaglio quando ancora non abbiamo messo a fuoco l’idea progettuale declinandola in tutti gli aspetti connessi che la definiscono. E questo vale sia per un wireframe che per una presentazione, o per qualsiasi altro progetto, fisico o digitale che sia.

Quindi scarabocchiate, disegnate, scrivete, lasciate perdere tutto e riprendetelo dopo un giorno: la vostra idea vi ringrazierà venendo a voi in tutta la sua chiarezza. E voi alla fine avrete guadagnato del tempo prezioso.

 

 

Cosa si impara a insegnare la UX

La settimana del mio workshop allo IED si è conclusa e posso tirare le somme su cosa mi abbia insegnato.

Brainstorming post-ricerca con gli utenti: mappatura
Brainstorming post-ricerca con gli utenti: mappatura

L’ultimo giorno ho posto ai ragazzi una serie di domande per analizzare quanto avevamo fatto insieme. Voglio provare a farmi le stesse domande e vedere cosa ne esce fuori.

Qual’è stata la cosa che ti ha sorpreso di più?

Essere stata in grado di dare un feedback costante, motivato e circostanziato sul lavoro dei ragazzi. Mi ha dimostrato in modo tangibile che il metodo dello user-centered design ha basi solide e molteplici applicazioni.

Quale è stata la cosa che ti è parsa più difficile?

La fatica fisica oltre a quella mentale. Rispetto a una lezione frontale il workshop ti prosciuga di energia, nonostante lavorino loro!

Prototipo allestito per il test di usabilità
Prototipo allestito per il test di usabilità

E quale quella più divertente?

I test di usabilità. Vedere i ragazzi soffrire nel testimoniare che il loro prototipo aveva dei problemi è stato bellissimo. E’ un momento di svolta dell’intero processo, dove metti alla prova le tue convinzioni e le devi lasciar andare per un bene superiore, che è quello di soddisfare il tuo utente.

Uno dei prodotti ideati dai ragazzi: un free-press per la terza età.
Uno dei prodotti ideati dai ragazzi: un free-press per la terza età.

Cosa ti porti a casa da questa esperienza?

La soddisfazione di essere riuscita a instillare dei dubbi nelle testoline in cerca di certezze.

La costante sfida con il mio carattere e le personalità degli altri, per costruire un rapporto proficuo e di crescita.

La convinzione ancora più radicata che amo questo lavoro.

Laboratorio di User Experience allo IED Factory

Un prototipo semplificato di telecomando: basta un po' di cartone!
Un prototipo semplificato di telecomando usabile: basta un po’ di cartone!

Dal 4 all’8 marzo terrò un laboratorio pratico sul tema della User Experience presso lo IED di Roma, dal titolo “User Experience: la progettazione a misura di utente come strategia di branding“.

Lo IED Factory, così si chiama l’iniziativa, è una settimana di workshop aperti agli studenti IED Roma del primo e del secondo anno tenuti da artisti, fotografi, designer, registi ed esperti della comunicazione.

Cosa c’entro io, direte? Be’, cercherò di insegnare ai ragazzi come si lavora con e per gli utenti: dalla ricerca alla prototipazione, passando per i test di usabilità e i modelli mentali. Vorrei fornire loro un metodo di lavoro che possano impiegare in ambiti anche molto lontani dai miei.

Ci sarà da divertirsi, per loro e per me: sono sempre stata convinta che imparare lavorando sia molto efficace e che stimoli la voglia di approfondimento e di studio. Un approccio forse un po’ anglosassone che dovremmo provare a sperimentare più spesso anche qui, io credo.

Vi terrò aggiornati su come procede, naturalmente (se sopravvivo a trenta ragazzi ventenni!).

Fatemi l’in bocca al lupo!

UsabilitABC: un webinar gratuito di Architecta per capirne di più

Usable usability index, book by Eric Reiss

Mercoledì 10 aprile, alle 18:30, comodamente dal vostro pc casalingo potete seguire un webinar gratuito in cui vi spiegherò i concetti alla base dell‘usabilità. Iscrivetevi!

Architecta, organizzatrice di questi cicli formativi a distanza e del Summit Italiano di Architettura dell’Informazione, è un’associazione che sostiene e promuove coloro che progettano il modo in cui le persone e le informazioni interagiscono. Ne faccio parte con altri stimati colleghi e amici da tre anni.

Cos’è l’usabilità?

Prendo a prestito la definizione di Eric Reiss, dal suo ultimo libro Usable usability, traducendola in italiano:

L’usabilità ha a che fare con la capacità di un individuo di compiere attività specifiche o di raggiungere obiettivi più ampi mentre “utilizza” una qualsiasi cosa sia oggetto di studio, miglioramento o progettazione – inclusi i servizi che non comportano nemmeno l’interazione con un oggetto come una maniglia o una pagina web.

Quindi un oggetto usabile è quello che ci permette di raggiungere un nostro obiettivo, svolgendo una serie di attività con esso. Ma c’è di più: è anche quell’oggetto che ci permette di considerare l’intera esperienza come piacevole e soddisfacente.

Se vi sembra un ragionamento complesso,  be’,  iscrivetevi al mio webinar: cercherò di renderlo più semplice e comprensibile per voi.

Vi aspetto!

Prima di Internet: papà, mamma, il telefono e il dizionario

Durante una notte insonne per i postumi influenzali mi sono tornati in mente alcuni episodi della mia infanzia e adolescenza che tradiscono l’appartenenza alla mia generazione. Lo spartiacque fra quelli nati negli anni ’70 e quelli nati nei decenni successivi è, manco a dirlo, Internet. E  per quelli come me, le questioni quotidiane si risolvevano in altro modo.

Se ascoltando il TG incappavo in una parola nuova andavo da mio padre, il depositario del sapere di casa. Lui mi dava sempre la stessa risposta: “Cercalo sul dizionario”. Da piccola mi faceva arrabbiare da matti ma crescendo ne ho capito l’importanza, anche se lui sostiene di averlo detto più che altro per togliermi di torno.

Se invece c’era da decifrare un fatto di cronaca o una situazione politica, allora mi dava qualche spiegazione in più e in genere finiva col consigliarmi un paio di libri di storia (che io, confesso, non ho mai letto). Però era rassicurante sapere che lui sapeva.

Geir_Moen_95

Mia madre invece assolveva a un altro compito, quello di segugio. Sarà stata la sua formazione in biblioteconomia, fatto sta che molto prima di Facebook lei era in grado di ricavare informazioni preziose su chiunque. Come quella volta che, vedendomi diventare fan dell’atletica leggera per via del velocista norvegese Geir Moen, scrisse una lettera al suo ufficio stampa che mi rispose inviandomi una sua foto con autografo, qualche settimana dopo. Sembrava impossibile!

La questione in questo caso, era: come diamine si trovano i recapiti dell’ufficio stampa di un atleta straniero? Si facevano telefonate e si chiedevano indicazioni, spesso ottenendo altri numeri, e si proseguiva nel percorso sperando di arrivare a destinazione, prima o poi. Parlare molte lingue era sicuramente un grosso vantaggio. Telefonare all’ora giusta, durante le ore d’ufficio e non la pausa pranzo, era qualcosa da considerare attentamente se non si volevano perdere giorni preziosi.

TuttoCitta87

Ma la vera sfida, da romani, era ovviamente quella di decidere che strada fare per arrivare da qualche parte. Su queste cose non esisteva un esperto di riferimento in famiglia: lì era guerra aperta fra mamma e papà, a suon di “ma che dici, è meglio l’Olimpica, a quest’ora!” e “ma no, taglia dal centro che fai prima!”. E la cosa drammatica era cercare di ascoltarli e prendere una decisione avendo di fronte le mappe del Tuttocittà, dove naturalmente non esisteva traccia della cosiddetta Olimpica, perché i toponimi e i nomi popolari già discordavano.

Non credo di avere una marcia in più per aver vissuto queste cose. Però ricordo lo sforzo e la fatica nel mettere insieme le informazioni e discriminarle e la soddisfazione finale di ottenere il risultato, che a volte sembrava davvero un miraggio. Mi permette di apprezzare, ogni giorno, il fatto di girare con un motore di ricerca in tasca e poter sapere subito cosa significa una parola che non conosco.

L’usabilità di Italo Treno non va tanto meglio

Siccome può sembrare che io ce l’abbia su con  Trenitalia per il loro pessimo sito (e sono in compagnia di buona parte della rete), non volendo fare un torto a nessuno vi racconto anche le stranezze viste oggi sul sito di Italo.

Non confronterò i processi di acquisto ma alcune semplici interazioni in cui sono incappata.

Torno sul sito dopo parecchio tempo e provo ad accedere al mio account, che mi pareva aver salvato con username e password. Seguo il link ma mi trovo questo messaggio:

Account inesistente Italo

Che strano, eppure io sono sicura di essermi già registrata con questo account. E se fosse solo la password sbagliata? Seguo il link di recupero password (che non c’è in questo messaggio!) e inserendo la medesima casella e-mail di prima ottengo l’invio della nuova password.

Allora il mio account non è inesistente! E perché mi dite che lo è?

Proseguo inserendo la password temporanea e, correttamente, il sistema mi porta direttamente a una pagina dove devo creare la mia nuova password. Ottimo.

Inserisco la password: primo errore. Devo rispettare determinate regole di caratteri e lunghezza, ovviamente. Ok, se me lo dicevate prima evitavamo questo passaggio, ma pazienza.

Inserisco una seconda password corretta. Il sistema sembra in stallo, poi compare questo messaggio:

Errore sulla password Italo

Perché la mia password non è valida? Non me lo dicono.

Mi fanno venire il sospetto, con la seconda frase, che sia già stata utilizzata da me in passato, ma è impossibile visto che l’ho appena cambiata per rispettare le regole. E poi io non ho fatto 5 tentativi, ero solo al secondo! Di nuovo, vengo lasciata a me stessa senza indicazioni di cosa stia succedendo e perché.

Altra informazione che invece mi forniscono è che il servizio di assistenza è disponibile “fino alle 24”. Ma a partire da che ora? O significa h24? Di nuovo, mah.

Ovviamente non mancano i dettagli sull’errore, utilissimi: 1123 – ExternalSystemFailurePasswordHistory. Immagino che se chiamo l’assistenza e riferisco loro questo errore sapranno certamente cos’è.

In sostanza: sarebbe utile avere solo le informazioni necessarie, passo per passo, in modo chiaro. E niente di più.

Ma continuo, e perseverando, torno alla pagina, inserisco una password diversa e questa volta pare funzionare. Lo noto perché il sito mi dice che sono loggata. Mi fido?

loggata italo

Vado alla Home page cliccando sul logo, e succede una cosa strana. La Home appare così:

home sloggata italo

Boh. Si sono persi il log navigando nel sito? Andiamo bene.

Riprovo a loggarmi? Clicco su Accedi al tuo account ed ecco un nuovo messaggio di errore, che questa volta mi lascia completamente basita:

area protetta italo

Ho l’impressione che ci sia ancora da lavorare prima di ritenere questo sito davvero usabile. Non basta il font grande e leggibile, caro Italo.

Farsi e fare le domande giuste

Ogni tanto mi arrivano mail dai brand che seguo che annunciano nuovi prodotti, o feature o l’entrata nel grande mondo dei social network.

Quello che mi lascia interdetta è quanto poco, nella progettazione di queste novità, si sia pensato agli utenti che ne usufruiranno.

Ne ho la riprova leggendo i testi markettari che le presentano. Per esempio, l’annuncio di Fineco dell’apertura della fan page su Facebook.

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Io sono correntista Fineco ma delle cose elencate qui, francamente, non mi interessa nulla.

L’uso che mi aspetto da un social è il contatto diretto e veloce con qualcuno per risolvere un mio problema, suggerirmi nuovi prodotti, e magari lasciare dei commenti su contenuti che mi interessano.

Di sicuro vedere le campagne pubblicitarie non è una mia priorità. Tanto meno condividerle con i miei amici, trascinata dall’entusiasmo verso la mia banca. Certo, come no!

Insomma, ancora una volta mi domando se i grandi della comunicazione se la siano posta qualche domanda. E ancora di più, se l’abbiano posta ai loro clienti, per cercare di capire i loro bisogni.

Non occorre aprire una pagina Facebook solo perché lo fanno tutti, eh? Talvolta meglio aspettare, ascoltare, e nel frattempo tacere.