Topolino e la User Experience

Giorgio Cavazzano a Lucca 2012

Ho avuto il privilegio di incontrare Giorgio Cavazzano qualche giorno fa al Lucca Comics and Games. Per chi non lo sapesse, Cavazzano è uno dei disegnatori storici di Topolino e sicuramente uno dei miei preferiti.

Durante un incontro con il pubblico ha raccontato il suo personale percorso come disegnatore, che meriterebbe un posto d’onore tra le storie citate da Sir Ken Robinson, e ha condiviso particolari affascinanti su come nasca una storia a fumetti. Non ho potuto fare a meno di riconoscere, nei suoi racconti, tantissimi punti in comune con il processo di design della User Experience. La cosa è curiosa, e ho deciso di condividerla per vedere se trova un riscontro anche nella vostra esperienza.

Assieme a Cavazzano era presente anche Tito Faraci, sceneggiatore per Topolino e altre testate Bonelli, e i due hanno messo su una scenetta del tipico processo creativo che avviene tra loro, normalmente al telefono. Tito racconta una storia, che fino a quel momento è solo nella sua testa, e Giorgio scarabocchia mentre lo ascolta. I due dialogano, si fanno domande, provano soluzioni e le modificano. Nasce una storia illustrata che poi verrà affinata. Dove sono le analogie? Eccole qui.

Tito Faraci dice che quando scrive una storia ha i lettori in mente, e sa che li deve divertire e appassionare. Ma non chiederebbe mai loro cosa vorrebbero. Vi suona familiare? Quando gli UX designer progettano, lo fanno per le persone: creano qualcosa che soddisfi i loro bisogni, senza mai chiedere loro direttamente cosa vorrebbero, perché non si tratta di esaudire dei desideri ma di fornire ciò che serve. Se la differenza vi sembra sottile, credetemi, non lo è.

Il lavoro di creazione della storia è un processo con varie fasi, molte delle quali si svolgono come lavoro di squadra: si tratta di co-design! Lo sceneggiatore e il disegnatore sono due professionalità distinte, eppure nella creazione della storia è difficile dire chi influenzi cosa: Cavazzano racconta di come immagina le inquadrature e i passaggi essenziali per far sì che la storia fluisca e che il lettore non trovi salti logici eccessivi. Faraci aggiunge che a volte ha bisogno di un certo tipo di automobile, con il cofano che si apre in un certo modo, perché l’azione che vuole far compiere a uno dei personaggi lo richiede. La metafora con i wireframe e gli user scenarios è davvero calzante, secondo me.  Anche nella UX ci si trova spesso a  progettare con colleghi o stakeholder dalle diverse competenze, per far sì che l’esperienza complessiva dell’utente sia coerente, facile, soddisfacente. E’ un processo a più mani e più cervelli, proprio come la stesura di una storia a fumetti.

Infine, un altro elemento che ricordo delle parole di Cavazzano è il processo di asciugatura del suo disegno, che per me ha tanto in comune con la prototipazione. Lui racconta di come il passaggio dalla prima matita alla successiva, fino alla china, richieda un costante sforzo “a togliere”: va eliminato il superfluo dal disegno, che deve essere in grado di comunicare al lettore l’emozione e l’intenzione che ci sono dietro senza appesantirlo. Un parallelo interessantissimo con l’adagio UX  “less is more“.

Ho la sensazione che questo parallelo possa esistere anche in molti altri processi creativi.

La ‘spesa che non pesa’ continua a pesare

Tempo fa avevo parlato dei problemi de La spesa che non pesa, il servizio di consegna a domicilio della Coop.

Avevo notato alcuni cambiamenti, di recente, visto che ho ripreso a usare il servizio (per mancanza di alternativa, più che altro). In particolare, ho tentato la difficile impresa di fare la spesa tramite l’app per Ipad, da cui mi aspettavo il peggio. Invece, tutto sommato, è un po’ meglio del sito, che rimane ancora a livelli inaccettabili.

Con l’ultima spesa, arriva questa lettera:

buono regalo Zalando da La spesa che non pesa

Personalmente avrei preferito che investissero sull’effettivo miglioramento del sito, che è cambiato pochissimo. Ma non si può dire che il gesto non sia apprezzabile.

Ce la faranno a capire come si fa a fare un sito di e-shopping decente? La strada sembra lunga, ma staremo a vedere.

L’usabilità (si fa per dire) del sito di Trenitalia

Ogni tanto qualcuno mi chiede in cosa consista il mio lavoro, e oggi ho un esempio lampante da farvi che, forse, ve lo farà capire: provare a cambiare un biglietto sul sito di Trenitalia.

Mi concedo il diletto di presentarvelo come se fosse un film. Mettetevi comodi: sarà lunghetto, ci saranno un sacco di immagini, e qualche sorpresa alla fine.

L’avventura comincia qui

Ho acquistato poco fa un’andata e ritorno per Milano sul Frecciarossa, che devo cambiare. Vado quindi sul sito alla ricerca dei miei biglietti (devo prima entrare nella mia area riservata) e cerco l’opzione del cambio biglietto.

Mi trovo davanti (in basso!) lo storico dei miei acquisti, e già noto una cosa:

Menù azioni sul biglietto

Nonostante io abbia acquistato un viaggio a/r, i menù che mi permettono di operare sono distinti fra andata e ritorno. Probabilmente, quindi, sarò costretta a ripetere l’operazione due volte. Cominciano bene.

Clicco su “Cambio biglietto”, e mi trovo questa schermata.

Schermata cambio biglietto

Per proseguire devo necessariamente selezionare il check box per l’unico passeggero (!), che sarei io, e poi selezionare “adulto” dal menù a tendina.

Era assolutamente necessario questo passaggio? Ma continuiamo.

Mi trovo davanti ai seguenti bottoni: Aggiungi passeggeri – Elimina passeggeri – Cambia offerta/servizio – Cambia soluzione.

Io voglio cambiare il biglietto, ossia cambiare data e orario: quale dovrei scegliere? L’opzione “cambia data e orario” non compare.

A naso, e solo perché mi ricordo che il sito di Trenitalia si riferisce a date e orari come “soluzioni di viaggio”, scelgo l’ultimo bottone.

Sembra funzionare.

Schermata scelta da modificare

Sorvolo su tutte le opzioni sovrastanti la tabella e sul fatto che, di nuovo, mi dia la possibilità di cambiare da adulto a bambino (magari nel frattempo ho cambiato idea sulla mia età, chissà). Vado avanti, e scelgo la data e orario alternativi dalla lista.

Individuo una soluzione che mi vada bene, e clicco su Cerca.

Mi dà errore.

Schermata di errore

“Il cambio biglietto è consentito solo verso l’offerta Economy cambio biglietto”. Ah be’, chiarissimo!

Ma allora perché mi avete fatto proseguire fino a qui, mi domando?

Mi lambicco un po’ il cervello per capire cosa possa significare quel messaggio. Alla fine, visto che contiene la parola “offerta”, mi viene in mente di tornare alla prima scelta, quella dei quattro bottoni. E clicco stavolta su “Cambia offerta/servizio”.

Arrivo qui:

Schermata cambio offerta

Mi trovo davanti a  tutto tranne che l’opzione di “Cambiare offerta”. Mi butto. Sarà sotto la tendina “Prezzo”? Proviamo…

Eccola! Seleziono l’opzione che avevo letto nel messaggio di errore, ossia “Economy cambio biglietto” e clicco su Continua.

Schermata finale del cambio offerta

Mi appare l’ennesima schermata da cui a malapena evinco il cambio richiesto, visto che in primo piano ho la data e orario vecchi, che vorrei cambiare.

Ma guardando la tabella sottostante, effettivamente, c’è un Quadro sintesi modifiche che mi dice che…ho cambiato tariffa. Anzi no, era offerta. Offerta/servizio. Ma qui la chiamano “Nuova offerta/classe”. Eh!?

L’unica cosa chiara è che devo pagare 37 euro di differenza. Ma non appare da nessuna parte la nuova data e orario da scegliere, per cui io mi fermo.

Non mi fido di cliccare su Continua, pagare, e non essere certa che poi potrò modificare le mie date.

Desisto, getto la spugna. Non avrete i miei soldi! Aaaarghh!!

THE END

Titoli di coda.

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Ecco, io per lavoro faccio questo: progetto flussi e pagine (o step, per processi non digitali) in modo che siano:

  • chiari su cosa sta succedendo in ogni momento
  • facili da percorrere
  • piacevoli da usare, senza causare stress o frustrazione in chi li usa.

…aspettate! Ci sono gli outtake!

Volete sapere qual’era la procedura corretta? Ecco una splendida pagina di spiegazione sul sito di Trenitalia, gentilmente fornitami dall’efficiente account Twitter de Le frecce.

Non ha niente a che fare con ciò che ho fatto io ma per loro è quella giusta. Chissà chi ha ragione?

Tra una settimana all’Euro IA: io ci sarò, e voi?

Mettiamo il caso che viviate a Roma, o che abbiate progettato un soggiorno nella Capitale per la prossima settimana.

Poniamo anche che lavoriate come progettisti web, grafici o visual, interaction designer, architetti dell’informazione o altre figure correlate.

Potrebbe persino darsi che non abbiate mai sentito nominare lo European Summit of Information Architecture (Euro IA).

Ebbene, la prossima edizione del suddetto si terrà a Roma, dal 27 al 29 settembre!

Io ci sarò, e venerdì 28 terrò un intervento sul mio passaggio dalla professione di agronoma a quella del magnifico mondo della User Experience (UX).

Non siete curiosissimi? Io non sto più nella pelle!

Correte a iscrivervi finché ci sono posti, e sappiate che ci sono tariffe molto scontate per gli italiani (chiedetemi come!).

Vi aspetto! 🙂


Miglio senegalese

Cogliere il meglio da ciò che ci capita: anche la celiachia

Pane veloce senza glutine
Pane veloce senza glutine (ricetta linkata)

Giorni fa ho letto un post di @LaCuochina che mi ha fatto molto piacere: 10 motivi per cui è (quasi) bello avere la celiachia.

Mi hanno diagnosticato la gluten sensitivity (ipersensibilità al glutine) oltre due anni fa e leggere il pezzo mi ha colpito per lo spirito ottimista e positivo dell’autrice, che mi appartiene, e per i contenuti in cui mi sono ritrovata anche io.

Alla fine del post chiede di risponderle con altri motivi personali per cui riteniamo che essere intolleranti al glutine ci abbia insegnato qualcosa. Di seguito i miei.

Ho imparato che l’essere umano si adatta a tutto, e che la gestione delle privazioni è una battaglia solo psicologica. Anni fa pensavo di morire quando mi accorsi di non digerire il latte, io che ne bevevo due litri al giorno. Eppure mi sono resa conto che potevo essere felice anche senza berlo più, senza mozzarella di bufala o stracchino. Lo stesso dicasi per il glutine: golosa come sono credevo di impazzire all’idea di non potermi più fermare di fronte a una pasticceria per strada o che avrei sofferto vedendo gli altri mangiare una torta a tre strati. E invece no: non mi viene voglia di assaggiare niente, non è una sofferenza rinunciarvi. E la cosa sorprende me prima degli altri.

Sono diventata più attenta alle intolleranze o problemi altrui: non solo alimentari, ma di qualsiasi genere. Perché quando cominci a percepirti diverso e sperimenti sulla tua pelle i problemi quotidiani o le reazioni delle persone intorno a te, allora la tua mente si apre. E di colpo presti attenzione a tante cose che prima erano invisibili, e diventi più sensibile. Questa è una cosa che se si potesse insegnare nelle scuole anche con semplici giochi di simulazione, io la sponsorizzerei. E’ una crescita enorme.

Puoi avere una misura piuttosto diretta di quanto premurosi siano i tuoi amici in base a come si attrezzano per te. Ti commuovi di fronte a una cena interamente senza glutine che la tua amica ha preparato studiando e scaricando ricette da Internet, o per le telefonate dal supermercato dei tuoi amici che non ricordano la marca di patatine che puoi mangiare anche tu. Tu non vorresti creare a problemi a nessuno eppure loro ti stupiscono con la loro gentilezza e cortesia. E’ una coccola che fa tanto, tanto piacere.

Già amavo cucinare, ora ho un’ulteriore sfida da vincere: farlo mantenendo gusto e sapore ma senza usare glutine. Che significa ingegnarsi, adattare ricette, sperimentare, trovare nuove fonti, usare più spesso ingredienti che non avevi mai usato, naturalmente privi di glutine. E’ divertente poter continuare a imparare!

In definitiva, è un’esperienza: può insegnarti qualcosa se sei aperto all’apprendimento, a cambiare punti di vista, a crescere e metterti alla prova. Come qualsiasi altra esperienza della tua vita.

Lista poco ragionata di libri per UX designers

Un’amica e collega mi ha chiesto di prepararle una lista di libri sulla User Experience da cui attingere per approfondire la vastità di argomenti che vengono trattati in questa disciplina e ho pensato di pubblicarla qui, casomai fosse utile anche agli altri.

Io all’inizio mi sono ispirata all’elenco di Alberto Mucignat che è stato senza dubbio utilissimo, arricchito poi dai numerosi incontri dello UX Book Club di Roma che mi hanno “costretta” a cimentarmi con letture molto varie, per fortuna.

Ma la mia lista per Claudia ha un taglio più personale e soprattutto risponde a un’esigenza che io condivido  totalmente: il bisogno di manuali, linee guida, di libri pratici per aumentare il proprio bagaglio o cassetta degli attrezzi in modo da poterli mettere subito in pratica. In seguito, e magari incuriositi dalla pratica, si possono approfondire le basi teoriche e fare considerazioni più ampie e complesse.

Eccola qua questa lista sragionata:

  • A project guide to UX Design, di Ross Unger e Carolyn Chandler: viene descritto l’intero processo, dalla ricerca alla progettazione fino alla realizzazione, con un approccio pragmatico anche se non approfonditissimo. Ideale per iniziare (nel frattempo è uscita la seconda edizione, io lessi la prima).
  • Don’t make me think, di Steve Krug: semplice, intuitivo, spiega passo passo il nòcciolo della UX per l’utente, ossia “datemi qualcosa di facile e che funzioni!”. Imperdibile, e disponibile anche in italiano.
  • Card sorting, di Donna Spencer: il libro di riferimento per questa tecnica di lavoro, ottimo e efficace.
  • The handbook of usability testing, di Robin Chisnell: esaustivo, spiega passo passo come cimentarsi con questa pratica così importante per noi UX designers.
  • Moderating usability tests: principles and practices for interacting, di Joseph S. Dumas e Beth A. Loring: risorsa preziosissima per perfezionare la sottile arte del moderare test di usabilità (grazie @titotopo per il suggerimento!).
  • Mental models, di Indi Young: un semplice manuale per imparare a mappare i modelli mentali dei nostri utenti.
  • Search patterns, di Peter Morville e Jeffery Callender: una guida ragionata alla progettazione della ricerca dei contenuti (in cui è infilata persino una citazione da Harry Potter!).
  • Storytelling for user experience, di Whitney Quesenbery e Kevin Brooks: mille e uno modi per impiegare lo storytelling in molte delle fasi dello UX design. Divertente e motivante!

Mi fermo qui per il momento, ma chissà che non torni ad arricchire la lista, magari con la seconda parte dedicata alle basi teoriche.

Consiglio comunque questo elenco molto esaustivo e organizzato di Whitney Hess, che include persino eventi, formazione e altre risorse utili.

UX books

Rainbow Magicland e la bacchetta magica per orientarsi!

Ieri, con la scusa di intrattenere la bimba di alcuni cari amici, sono stata al Rainbow Magic Land (o Magicland? o MagicLand? boh) e da appassionata di parchi divertimento ecco la mia recensione personale e un po’ anche professionale. 😉

Cominciamo dalle cose positive, ché non voglio praticare lo sport nazionale del “demoliamo tutto ciò che è nostrano a prescindere”.

Il parco è bello: le ambientazioni, gli spazi verdi e coperti, le attrazioni sono degni di un parco divertimenti moderno. C’è lo spazio per i piccoli e i rollercoaster per i grandi, c’è modo di rinfrescarsi e di vedere gli spettacoli. Pur non avendo il plus dei marchi più noti secondo me non gli manca nulla, anche in previsione di espansioni future.

Il personale è stato gentilissimo e sorridente, per tutto il giorno, sia nelle attrazioni che negli infopoint o ai punti ristoro. La cosa merita di essere menzionata perché nell’esperienza utente il fatto di venire accolti umanamente bene conta moltissimo. E diciamo che in Italia non si può dare per scontato perché accade ancora troppo poco spesso.

Altra nota di merito, i bagni erano puliti e sempre dotati di carta igienica e sapone (anche questo è raro da noi, quindi va fatto notare!).

L’offerta di cibo accontenta un po’ tutti, dal pasto veloce fino al ristorante di lusso, che non ho provato.

Per me che sono intollerante al glutine è stato bello avere possibilità di scelta con piatti surgelati certificati (anche se consiglio un cambio di marchio, molto meglio i DS!). Magari il rapporto/qualità prezzo andrebbe corretto, ma insomma.

12 euro per il pollo peggiore che io possa ricordare

E passiamo alle note dolenti che purtroppo non sono mancate, ma essendo risolvibili spero si adoperino per migliorarle presto.

E’ molto difficile orientarsi nel parco: una bacchetta magica sarebbe davvero servita!

Dico orientarsi e intendo:

  • La mappa cartacea fornita non aiuta a capire quali attrazioni, ristoranti e altro ci siano, è praticamente illegibile
  • Nei vialetti del parco non c’è un singolo cartello che indichi la direzione di questa o quella attrazione (sono limitati ai bagni, ai carabinieri, al bancomat, ecc.)
  • Si fatica a capire persino dove si entra e ci si mette in fila per un’attrazione, finendo per girarci intorno
  • La cartellonistica è poco chiara, specie riguardo i limiti di accesso per età o altezza (viene sempre usato il simbolo del divieto anche se in realtà si vuole indicare che il bambino al di sotto di una certa età può entrare ma solo se accompagnato).
L’amara sorpresa una volta arrivati all’area dei piccoli

Gli orari di apertura e delle attrazioni non vengono comunicati efficacemente.

Diciamo che la comunicazione tutta andrebbe rivista: il sito, interamente in flash e pieno solo di video non facilita chi vuole programmare un percorso o avere informazioni dettagliate. Per dire, non c’è nemmeno un elenco di tutte le attrazioni adatte ai più piccoli.

E a proposito di informazioni  mancanti o intempestive, io ero con una bimba di 4 anni e avevo organizzato un certo percorso e una tempistica, e quando arrivo all’apertura del parco (10:00) scopro che:

  • Il percorso più breve dall’entrata all’area dei piccoli è chiuso fino alle 11:00 (?). Per arrivarci tocca fare il giro lungo intorno al lago
  • L’area dei piccoli apre solo alle 10:30
  • Due attrazioni dell’area dei piccoli aprono alle 14:00 (vedi foto sopra).

Tutte queste preziose informazioni non solo non compaiono sul sito né nell’orario giornaliero degli spettacoli o eventi ma vengono fornite in loco o da persone messe lì a sorvegliare il divieto di accesso o da poster affissi sopra ai cartelloni delle attrazioni. In entrambi i casi vengono date troppo tardi per chi si era organizzato e magari ha bimbi scalpitanti al seguito.

Quindi ecco che diventano del tutto inutili le mail di reminder o di commiato, che tra l’altro tradiscono lo zampino di qualche amante dei database. A cosa serve questa e-mail? Non c’è nemmeno un questionario di soddisfazione da riempire.

Insomma, in definitiva un parco così a due passi da Roma ci voleva. Ma c’è da lavorare per arrivare anche solo a scalfire la qualità dei parchi più noti. Coraggio, si può fare!

Il modo in cui imparo nuove cose

In questo periodo, per caso e in modo deliberato, sto riflettendo su certi aspetti del mio percorso professionale e del mio vissuto personale.

Alcuni nuovi colleghi mi hanno fatto ricordare cose sepolte nella mia memoria riguardo al mio modo di imparare. E mi sono resa conto che questo non è mai cambiato, nella mia vita. Gli argomenti oggetto di studio, invece, moltissimo.

I miei mi raccontano che da bimba usavo la ciambella in spiaggia, per imparare a nuotare. Un giorno, di colpo, mi dirigo verso l’acqua senza ciambella, sicura. Mia madre mi rincorre urlando, e io serafica le rispondo “Non ne ho bisogno, mamma. So nuotare, ora”. E così è stato.

Stesso discorso con la bicicletta e le rotelle: di punto in bianco dissi a mio padre di togliermele, che non ne avevo più bisogno, che ormai sapevo andarci senza. E inforcata la bici sapevo effettivamente farlo.

Ricordo abbastanza chiaramente quella sensazione di sicurezza, di maturità, che mi facevano sentire in grado di provarci da sola. Che mi rammenti, avevo sempre ragione.

In seguito è stato così imparare nuove lingue, riuscire a prendere l’autobus da sola, ma anche imparare una qualche nuova disciplina. Ho bisogno del mio tempo: incamero informazioni, leggo tantissimo, osservo chi quella cosa la sa fare, e lo faccio a lungo, senza analizzare né tirare le somme. In quei momenti sono una spugna, assorbo e basta, in modo avido e interessato, e non mi basta mai.

Poi succede qualcosa, senza preavviso: c’è un click nella mia testa, un momento in cui mi fermo, non ho più voglia di aggiungere elementi, perché l’argomento in questione ha assunto una struttura di senso compiuto, dove tutto ciò che ho incamerato ha un suo posto preciso, e si relaziona al resto. È tutto chiaro. In quel momento mi sento pronta a provarci, e mi lancio.

Per me questo processo è naturale e istintivo, ma mi rendo conto che per gli altri probabilmente non lo è.

Qualcuno fra voi ha ragionato su come impara nuove cose? Sarei curiosa di sentirlo.

copyright © 2006 sean dreilinger

Cosa ci vuole per fare lo UX designer?

Supponiamo che un bel giorno vi svegliate desiderando di voler cambiare lavoro (magari da settori limitrofi, oppure con salti professionali più lunghi). E mettiamo il caso che il lavoro che volete svolgere sia lo UX designer. Da dove si comincia? Cosa vi conviene fare?

Non so se sia una ricetta universale, ma io condivido la mia, sperando vi sia utile.

1. L’incontro significativo con un altro UX designer
Nel mio caso è stato abbastanza evidente che la molla per la manifestazione del mio desiderio sia stata inciampare su un (futuro) collega che il mio capo all’epoca definì come colui “whose hair just exploded” (i cui capelli erano appena esplosi).
Perché? Perché ha risposto alle mie domande incuriosite, mi ha spiegato cosa fosse la User Experience, mi ha contagiato con il suo entusiasmo.
Infine, mi ha fatto capire l’importanza dei punti seguenti.

2. Entrare nella community
Il nanosecondo dopo essermi affacciata nel mondo della UX mi sono resa conto di avere un gran numero di bisogni (proprio come le persone che avrei studiato in seguito):

  • il bisogno di formazione, perché, specialmente in Italia, è un ambito innovativo ancora pochissimo recepito dall’accademia; ma anche per la natura molto pratica di questo bisogno che richiede workshop, esercitazioni, sessioni di gruppo per venire soddisfatto.
  • il bisogno di orientamento, per ricevere consigli su chi sono gli esperti da seguire su un certo tema, sui libri fondamentali da avere, sui corsi su cui vale la pena investire risorse.
  • il bisogno di confrontarsi, perché si tratta di un mondo in costante evoluzione e che si avvale di best practice, di esperienza quindi, per cui diventa vitale -specie all’inizio- ascoltarla dalla viva voce dei colleghi.
  • infine, il bisogno di una pacca sulla spalla. Questo lavoro ci porta spesso dentro situazioni complesse dal punto di vista professionale e anche umano, perché si interagisce con figure distanti e a volte con persone difficili. Confrontarsi su questo aiuta a superare i momenti di sconforto.

Io ho trovato prezioso entrare nello UX Book Club di Roma: una comunità di persone che si incontrano una volta al mese per commentare un libro (ma non solo) su uno dei tanti temi legati dal filo rosso della UX. Ne stanno nascendo altri due in Italia, uno in Sardegna e l’altro a Milano. Non siate timidi e andateci! Non ve ne pentirete.

Poi ci sono eventi su scala nazionale come il Summit Italiano di Architettura dell’Informazione, dove vengono svolti workshop formativi e si ascoltano presentazioni di chi lavora o studia nel settore. Si è appena conclusa l’edizione del 2012, a mio parere ottima: vi consiglio di dare un’occhiata alle tre presentazioni che ho preferito.

Ma bisogna esserci e viverlo (mi direte, ve lo potevo dire prima! Vero).

Se ve lo siete persi, non potete però mancare alla versione europea dello stesso, l’Euro IA Summit, visto che quest’anno si terrà a Roma, a fine settembre.

3. Avere entusiasmo, tanto.
Perché c’è bisogno di studiare parecchio, discipline diverse, leggere libri e blog, seguire gruppi di discussione e questo livello di impegno, secondo me, si ottiene solo se si ha passione. Quanto meno è molto più divertente, se l’avete.

Ho dimenticato qualcosa? Se sì, scrivetemelo.

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La felicità è uno stato d’animo

Happiness

Stimolata da una discussione con un amico su Friendfeed mi sono ritrovata a riflettere sul concetto di felicità, come viene percepito e sentito in generale, e come invece lo sento io.

Al mio amico è stato detto -da un tizio quanto meno indelicato- che non era mai stato davvero felice perché non aveva ancora avuto figli. “Non puoi capire, è inutile” gli disse.

Ora, io non metto in dubbio che i figli possano regalare enorme gioia e soddisfazione a chi li mette al mondo, ma questo modo strumentale di ritenere che la felicità possa passare attraverso qualcosa o qualcun altro io non lo condivido.

La felicità per me è un modo di essere e di porsi di fronte alla vita, quindi del tutto incentrata su noi stessi: parte da noi, cresce dentro di noi, la portiamo nella nostra vita quotidiana e la trasmettiamo al prossimo. Non è dipendente da fattori esterni, piuttosto li influenza.

Per essere felice non ho bisogno di niente e di nessuno, perché io basto a me stessa. E’ meraviglioso questo, perché comporta che ciascuno di noi può essere incredibilmente felice, qui e ora.

Se affidassi la mia felicità alla presenza e all’amore di un’altra persona (sia un partner che un figlio, un familiare o un amico) stabilirei un legame di dipendenza che facilmente sfocerebbe in una dinamica malsana, in ricatti morali e, quasi certamente, nell’infelicità di una o di entrambe le parti.

Per fare un esempio veloce, il genitore che riversi tutto il suo bisogno di felicità nel proprio figlio sarà riluttante a renderlo indipendente e a incoraggiarlo a farsi una propria vita, anche lontano dalla famiglia, perché dipende da lui per essere felice (e vorrebbe che la cosa fosse reciproca). Questa cosa non è sana.

Nemmeno io ho figli, eppure sono felice. Potrei sbagliarmi, certo, ma spero invece di poter smentire il tizio e tutti coloro che la vedono come lui, un giorno. Felicemente.