UX non è fantascienza, è pensare come gli utenti

Non basta far comparire la parola User Experience sulla home del Corriere.it per far passare un concetto che, ai più, appare complicato e oscuro.

Provo quindi a dare un mio minuscolo contributo, scaturito da un post su Facebook letto e commentato stamattina.

Dalla pagina di Kiko viene lanciato un nuovo prodotto, con link alla pagina del sito. Leggo distrattamente il testo (troppa fuffa per me, ma lasciamo perdere) e poi per capirci qualcosa in più, visto che si tratta di un prodotto 2 in 1 e non capisco bene com’è fatto e come si usa, provo a vedere il video.

Secondo voi cosa c’è nel minuto di filmato? Una prova del prodotto sulla pelle del viso? Le tecniche per applicarlo? No, ovviamente. C’è solo una modella che si contorce, e in sovrimpressione un paio di slogan a effetto che non dicono granché.

Studiare l’esperienza utente (la UX, appunto) significa mettersi dalla parte dell’utente per capire di cosa ha bisogno: Che informazioni cerca? Come gliele posso presentare? Il testo che ho scritto è comprensibile per lui/lei? In sostanza, ho soddisfatto le sue aspettative e risposto alle sue richieste?

Per questo ho risposto al post su Facebook chiedendo il senso di un video che, secondo me, soddisfa forse il direttore marketing e il regista, ma non il possibile acquirente del prodotto.

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I like possono dire molto, a volte.

Riabilitarsi agli occhi dei clienti, si può. Il mio caso con Decoramo

Cosa ci vuole per riabilitare l’immagine di un’azienda (il brand, direbbero quelli del marketing) per un cliente scontento e arrabbiato? A volte anche una telefonata.

Circa un anno fa ho vissuto una disavventura con gli sticker da parete di Decoramo, che mi aveva lasciato con l’amaro in bocca e una pessima opinione dell’azienda in questione, che a suo tempo non aveva dimostrato nessuna attenzione verso il problema di un singolo utente.

A distanza di un anno ricevo la chiamata inaspettata della nuova responsabile dell’azienda, che intende dare seguito al mio incidente con il loro prodotto. Si informa su cosa fosse accaduto e si offre di rimborsarmi il danno, oltre ad assicurarmi che avvieranno delle indagini con il dipartimento tecnico per capire perché è successo e come evitarlo in futuro.

Ecco, se questa attenzione fosse avvenuta contestualmente al danno, probabilmente il post negativo non l’avrei mai pubblicato.

Il mio invito alle aziende quindi è di usare la rete per dialogare con i propri clienti e di non temere nemmeno le recensioni negative (come spiega bene Gianluca Diegoli nel suo video)  . Nessuno si aspetta l’infallibità: l’umanità e la cortesia, invece, sì.

Perché adoro il Kindle (dopo averlo usato)

Non ho fatto in tempo a scartarlo che  già mi aveva colpito per la leggerezza e per il formato super compatto. Il Kindle (l’e-book reader di Amazon) è pensato per essere letto, come un tascabile, ed entra nel taschino dei pantaloni.

Kindle E-book readerSecondo me è un oggetto azzeccatissimo e molto usabile.

Si tiene anche con una mano sola e si sfoglia con un dito della stessa, anche se siete mancini. Ma non è touch, e forse anche questo ne aumenta il fascino, per me.

Mi è tornato particolamente utile in qualche viaggio, durante spostamenti o pause pranzo, ma anche a casa.

Le pagine si leggono benissimo (specialmente se il formato del file è quello apposito, perché la lettura dei pdf potrebbe essere più complicata). Il contrasto e la leggibilità sono elevati e del tutto replicanti l’esperienza della carta stampata, e la mancanza di retroilluminazione non stanca la vista.

Volendo si può cambiare il font  o modificare la dimensione, ma io l’ho lasciato così perché mi sembra davvero di leggere su carta.

Si possono anche prendere appunti, sottolineare passaggi, oltre ovviamente a ripartire da dove ho interrotto la lettura ogni volta che riapro uno dei libri. E una volta finito di leggere, posso assegnare un punteggio e condividere la mia valutazione online.

Less is more: non c’è nulla di eccessivo in questo dispositivo: non è enorme, non è a colori, non si illumina, non serve a navigare anche se ha un browser e si connette via wifi, non ha uno schermo tattile. Eppure, o forse proprio per questo, assolve al suo scopo in modo eccellente.

Un prodotto che consiglio a chiunque voglia entrare nel mondo degli e-book reader. E già che ci siete, perché non scaricare alcuni dei tantissimi libri classici disponibili gratuitamente in formato .mobi? Magari è l’occasione giusta per rileggere L’isola del tesoro o Il mastino di Baskerville tra una metro e un bus.

Con il merito non si vincono i concorsi

Leggo questo titolo sul Corriere.it ed ho subito un flashback

Notizia sul Corriere su un nuovo possibile concorso per la scuola

Mi rammento del mio docente di Estimo all’universitá, che ci incitava a fare l’ultimo grande concorsone per l’insegnamento nella scuola pubblica, prima dell’avvento definitivo della temutissima SSIS. Era l’anno 1999 e non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello di andare a insegnare, tanto meno Estimo (probabilmente la materia piú pallosa fra le tante che ho studiato). Eppure spinta da queste minacce e da mia sorella (“provaci, che ne sai? “) lo feci anche io.

Si diceva, allora, che non ci sarebbe mai piú stato nessun concorso per accedere all’insegnamento, eppure eccoci qui a intravederne il prossimo.

Avendone fatto qualcuno di concorso posso tranquillamente affermare che è un sistema a dir poco obsoleto e abusato per assumere persone nel pubblico impiego. Soprattutto è uno strumento ipocrita, e vi spiego cosa intendo.

Teoricamente si dovrebbe selezionare la persona piú capace a ricoprire un determinato incarico. Quella persona potrebbe avere -ma non è detto- piú esperienza e titoli di altre, ma soprattutto dovrebbe possedere delle capacitá personali (vogliamo chiamarle skills) che lo/la rendono migliore per ricoprire quell’incarico.

Ebbene, un concorsone con migliaia di persone in cui lo screening iniziale è costituito da un test di cultura generale a risposta multipla non è assolutamente affidabile a discernere i meritevoli dagli ordinari. Oltre tutto si presta molto facilmente all’imbroglio (si vedano i foglietti con le risposte scritte che circolano). Feci un anno fa un intervento in diretta a Nove in punto da Oscar Giannino su questo argomento sbraitando contro i test, e non riuscii mai a sentire la risposta.

La veritá è che lo strumento si presta benissimo ad un altro sport nazionale, che è il lavaggio delle mani: nessuno è responsabile di nulla, né dello screening iniziale (lo facciamo fare a tutti quelli in possesso di laurea, siamo democratici!) né sulla selezione dei pochi superstiti (perché, titoli a parte, la maggior parte dei punteggi viene saggiamente spostata sugli orali dove i risultati sono facilmente manipolabili).

Per far vincere il merito, serve qualcuno che abbia il coraggio delle proprie azioni: serve un manager pubblico che bandisca posti in cui sia chiaro il ruolo e commisurata l’esperienza e le capacitá richieste; serve un bando trasparente e non scritto in burocratese; serve una shortlist dei candidati migliori con nome e cognome di chi li ha scelti e perché; serve una commissione che in modo altrettanto trasparente scelga tra i candidati la persona migliore per quel ruolo.

Ma no, continuiamo a nasconderci dietro al (finto) concorso per tutti, dietro all’anzianitá al posto del merito. E rimarremo saldamente dove siamo ora: in un paese di anziani immeritevoli.

Il tocco umano nell’e-commerce

Premessa: sembra un blog dedicato all’e-commerce ma non lo è. Almeno, non solo!

Due giorni fa ho ricevuto un pacco che avevo ordinato tempo addietro. Si trattava di una buona scorta di biscotti senza glutine, spekulatius per lo piú, ma non solo. Qui in Italia non si trovano, almeno non facilmente, per cui li ho cercati online, sono approdata su un sito estero, ho verificato al volo che spedissero in Italia, e ho effettuato il mio acquisto. Una transazione velocissima e indolore.

Se mi aveste chiesto allora il nome del sito, o la sua nazionalitá, non avrei saputo rispondervi. Del nome non ricordavo nemmeno l’iniziale, della localizzazione geografica supponevo si trattasse di “un paese del Nord Europa”. La mia esperienza con loro si sarebbe conclusa con un minimo scambio di informazioni e senza aver stabilito un qualsivoglia tipo di legame che non si esaurisse nell’arco di tempo della compravendita stessa.

Se non fosse per due cose che sono accadute, e che non mi aspettavo.

La prima, è l’aver ricevuto la seguente e-mail:

Si potrebbe pensare che sia un atto invadente e irritante il venire automaticamente iscritti con un account; invece a me ha fatto piacere, perché mi hanno fatto risparmiare tempo (quello della registrazione) e non mi hanno chiesto ulteriori dati personali. Inoltre ho avuto la sensazione che loro ci tenessero a me, che si preoccupassero di tenermi al corrente del mio ordine. Mi è piaciuto.

La seconda è avvenuta quasi contestualmente all’arrivo del pacchetto. Quasi perché arrivata il giorno seguente e al mio indirizzo di casa (non a quello di consegna).  Si trattava di una lettera cartacea, che stavo quasi per buttare convinta si trattasse della ricevuta dell’ordine, ma che per fortuna ho aperto, incuriosita dal fatto che l’intestazione fosse scritta a mano.

Dentro la lettera ho trovato questo:

Un biglietto di auguri di Natale. Semplice, ma scritto a mano, con un paesaggio inconfondibile che mi ha comunicato la loro identitá e il loro modo di rapportarsi a un cliente. C’era scritto “grazie”, e “Buon Natale”, ma per me ha significato molto di piú.

Da ditta sconosciuta trovata su google, Kamterra è riuscita a intraprendere un discorso con me, che potrebbe proseguire oltre il singolo acquisto. Gli anglofoni lo chiamerebbero engage with your customer. Di sicuro loro hanno guadagnato una cliente in Italia.

E con questo (e con la neve vintage sul blog) vi auguro Buon Natale e Buon Anno Nuovo. Ci si rilegge nel 2012! 🙂

La fidelizzazione nel post-vendita

Sono cresciuta con questo adagio: “se qualcosa non va, scrivi una lettera”.

Questo mi diceva sempre mio padre, con l’intenzione di tagliare corto di fronte alle mie lamentele su qualcuno o qualcosa ma, ne sono convinta, con l’intento di dirmi che per cambiare il mondo serve anche il nostro stimolo.

É una cosa che continuo a fare anche oggi: segnalo, riempio questionari, compilo form di reclamo, mando mail. Ma scrivo anche quando resto soddisfatta di un servizio o di un prodotto perché sono convinta che serva anche questo a migliorare il mondo.

Cosí ho fatto con Ucci Games, una ditta italiana che vende videogiochi online, con cui ho avuto sempre esperienze positivissime fatte di professionalitá, velocitá e cortesia.

Ecco quindi che trovandomi di fronte al primo ostacolo in fase di consegna di un ordine, torno a scrivergli, questa volta lamentandomi del problema. La questione riguardava gli indirizzi di spedizione e fatturazione (annosa questione con cui ci si scontra ancora troppo spesso) che per qualche motivo non erano stati correttamente registrati dal sistema.

C’è da dire che la mia mail era gentile e conteneva i motivi di stima nei loro confronti, ma comunque il servizio clienti mi ha risposto in tre minuti (!!). Risposta che è stata cortese e che conteneva un loro impegno a modificare l’interfaccia per evitare problemi analoghi in futuro.

Se avessi avuto qualche dubbio nel tornare a ordinare da loro per quel disguido, con questa azione hanno riguadagnato la mia fiducia nel loro brand. Perché sono riusciti a trasformare l’esperienza negativa, che comunque capita, in una positiva.

A costruire la fiducia ci vuole tempo, a distruggerla molto poco. Ma con altrettanto poco si puó evitare la catastrofe, anche solo rispondendo in breve tempo alle mail dei clienti.

Parlare -almeno- con i propri affezionati clienti

mac stores in manhattan
I negozi MAC a Manhattan (NY)

Negli ultimi mesi sono stata a New York e Londra e nella pianificazione dei miei giri ho voluto inserire qualche tappa di shopping con degli obiettivi mirati: MAC cosmetics, Sephora, Victoria’s Secret e All Saints Spitafield. Sono marchi che conosco bene e da cui acquisto spesso (online e non), che all’estero sono piú convenienti e mi permettono l’esperienza diretta che online non posso avere (tipo provarmi le diverse taglie e modelli per poi proseguire con gli acquisti a distanza con piú sicurezza).

Sono iscritta alle loro mailing list, alle pagine Facebook, e via dicendo: in altre parole sono una cliente fidelizzata. Eppure, con disappunto, mi accorgo di essere abbastanza trascurata come utente dei loro siti web.

Come mai dico questo? Perché nessuno dei marchi citati si è posto la domanda di cosa mi potrebbe essere utile una volta che mi trovo all’estero in cerca dei loro negozi. Nel corso dei miei viaggi infatti ho puntualmente cercato sui miei device l’elenco dei loro punti vendita per inserirli nei miei itinerari; in genere sono riuscita almeno a trovare una pagina apposita, segno che questo bisogno qualcuno l’avrá rilevato (o, piú probabilmente, perché ce l’hanno tutti gli altri). Ma quali informazioni vengono fornite in questa pagina? Rispondono ai bisogni dei loro clienti?

Troppo spesso si deve selezionare l’indirizzo del singolo negozio per vederne i dettagli (vedi Sephora o All Saints): ma se io la cittá la conosco poco e devo appunto decidere dove recarmi, cosa faccio, li guardo uno per uno? Non direi proprio.

Nella migliore delle ipotesi l’elenco dei punti vendita risiede su un’unica pagina per ciascuna cittá, ed è presente una mappa per facilitarne la localizzazione. Ma è una cosa che accade raramente.

Ma soprattutto, cosa manca? L’indicazione di quanto è grande il punto vendita. Perché quando ho poche ore da dedicare allo shopping e vado a cercare la mia marca preferita, voglio andare nel piú grande e piú fornito negozio della cittá! Semplice, no?

Eppure non c’è modo di avere questa informazione sui loro siti web, quindi si finisce orientandosi verso il quartiere piú esclusivo della cittá nella speranza di trovare il miglior negozio, ritrovandosi invece davanti a un buco di 50 metri quadri di esposizione (Sephora a Times Square o Victoria’s Secret nei paraggi). Il risultato è frustrazione, delusione e probabilmente un calo della fiducia nei confronti del brand, che si potrebbe facilmente evitare.

Il solo aggiungere i metri quadri di ciascun punto vendita, e magari una foto (o la street view di Google) basterebbe a farci capire se ci dobbiamo aspettare un angolino con pochi prodotti o il negozio di punta della catena.

Per incrementare la soddisfazione dei propri clienti affezionati basterebbe ascoltarli. Magari spendendo un centesimo di quello che costa l’animazione in flash, la carta di credito del marchio o le incomprensibili espansioni verso settori nemmeno limitrofi (All Saints e la musica?!? Vallo a capire).

Innovare, ovvero ripensare il lavoro

A San Francisco ci sono 5 ragazzi che hanno messo su il piú divertente negozio online di articoli per appassionati di fotografia. Non lo dico solo io, che li adoro per una miriade di motivi (design, procedura d’acquisto, tono, insomma, user experience e service design). Lo attestano anche Wired, il New York Times e molti altri.

Non paghi del raggiungimento del loro obiettivo, ne hanno subito scovato un altro.

Material vuole essere un punto di riferimento per chi desidera cambiare il proprio luogo di lavoro prendendo spunto da ció che hanno fatto loro, vendere prodotti divertenti divertendosi. Come? Dotandosi di strumenti e arredi divertenti, funzionali, che facilitino il lavoro e lo rendano piú piacevole.

Per questa nuova iniziativa hanno bisogno di una mano, e quindi offrono un lavoro da

Dream Job Available: Entrepreneurial Bad-Ass Who Believes Work/Life Balance is a Crock

Un annuncio che li rispecchia nella loro informalitá e determinazione, e che invoglierebbe persino un italiano deluso e stanco a fare le valigie per la California. Cercano anche altri collaboratori (web developer, customer lovers, freelance writers e via dicendo). Fossi in voi ci farei un serio pensierino.

Creare qualcosa dal nulla, divertirsi, contagiare gli altri, diffondere l’entusiasmo, crescere, contribuire a cambiare il mondo. Quindi, dicevamo: innovare? Per me si tratta di questo.

10 cose che ho amato di NYC – Ten things I loved about NYC

Prima di tutto, questo è un esperimento: un post in due lingue. E avrei dovuto chiamare il post le 10 cose di Manhattan, visto che sono stata quasi solo lí, ma pazienza.

First of all, this is an experiment: a bilingual post. And I should have called it 10 things about Manhattan, since I’ve been only there, basically.

E ora, via con la lista, in ordine sparso.

And now, let’s move to the list (in random order).

1. Lo skyline – The skyline

Arrivati a JFK  di notte e preso il taxi, vedere sullo sfondo quelle linee cosí familiari in uno sfavillio di luci mi ha tolto il fiato.

Landed at JFK at night, taken a cab and seen that familiar sparkling skyline: it left me breathless.

2. Prendere i taxi al volo – Taking a cab

Come nei film, sia quando si fermano e ti senti Dio, sia quando piove e non ne trovi manco mezzo.

Like in the movies – when they actually stop you feel like being God, and when it’s pouring rain you see none around.

3.  Chelsea Market

Ricavato da un ex biscottificio è ora un insieme di locali, forni e negozi in ambientazione steam-punk. Meraviglioso.

Originally a cookie factory currently turned into a steam-punk melting pot of shops, drugstores and bakeries. Adorable.

Central Park on a sunny day4. Central Park

Non ci sono parole per descriverne la bellezza. Vasto, curatissimo, variegato e pieno di scoiattoli. Da sogno.

There are not enough words to describe its beauty. It’s enormous, incredibly looked-after and with plenty of squirrels. A daydream.

5. La gentilezza della gente per strada – The kindness of people in the street

I sorrisi, gli aiuti per fermare i taxi, il chiedere scusa, il chiedere da dove venivamo, la battuta mentre facevamo delle foto. Mi sono sentita coccolata per una settimana intera (ed è stata dura rientrare a Roma).

The smiles, helping us stopping cabs, the apologies, asking where were we from, the jokes while we’re taking pictures. I felt taken-care of for the whole week (and coming back to Rome was really tough).

Squirrel6.  Gli scoiattoli – Squirrels

Come i gatti per Roma, sono ovunque e sono bellissimi quando si rincorrono con le loro lunghe code. Per noi sono inusuali, ma forse per i newyorchesi sono invece banalissimi animali.

Like it happens with cats in Rome, squirrels are everywhere and are the cutest when chasing each other, showing their long tails. For us they are so inusual, but maybe for NY citizens are just ordinary animals.

7. Washington Square

Sará perché l’ho vista con il sole, ma oltre che simbolo di moltissime scene girate lí è esattamente come la descrivono. C’erano studenti in pausa a prendere il sole, altri con la chitarra a cantare e ballare, famiglie con bimbi, artisti improbabili e anche un pianista con un pianoforte a coda e una vecchietta che lo ascoltava rapita, alle sue spalle.

Maybe I’m biased because of the sunny day in which I visited it, but on top of being representative of many movies shot there it’s precisely as described. There were students sunbathing or playing guitar, singing and dancing, as well as families with kids, weird performers and even a pianist playing a grand piano, with an elder woman listening behind his back, entranced.

Times Square8. Times Square

Non è definibile, non è quantificabile: è che quando sei lí, in particolare di notte, è semplicemente un posto troppo forte! E poi vicino ci sono i teatri di Broadway.

Undefinable, unquantifiable: it’s just that when you’re there, especially at night time, it’s simply a super cool place to be! Also, Broadway theaters are in the nearby.

9. La Mecca della fotografia – The Mecca of photography

Ovviamente sto parlando di B&H, il colosso della vendita al dettaglio di audio, video e fotografia, e il suo superstore sulla 9a avenue. Il posto merita una visita anche se non siete appassionati per la ricchezza di articoli, per l’organizzazione dei banchi vendita e soprattutto per la logistica che bisogna vedere in funzione. I prezzi sono ottimi, ma evitate di chiedere lo sconto, vi riderebbero in faccia.

I’m obviously referring to B&H, the giant of photo-audio-video equipment and their superstore on the 9th Avenue. The place deserves a visit even if you’re not a photography geek; it’s full of well-presented merchandise, the organization of benches is superb and you have to see by yourself the logistics they put in place. Prices are excellent but avoid asking for a discount: they’ll laugh at your face, probably.

Friedman's lunch with myself and a waiter

10. Last but not least, Friedman’s Lunch (at Chelsea Market) 

Il posto dove abbiamo fatto colazione quasi tutti i giorni e dove siamo tornati a cena due volte. Il miglior ristorante glutenfree che abbia provato durante la settimana a Manhattan. La semplicitá e qualitá degli ingredienti stagionali e locali e la maestria nella preparazione (ottima anche per il senza glutine) sono la chiave del loro successo. Ma anche la cortesia e simpatia dei tanti camerieri ha fatto sí che diventasse il nostro preferito. Bravi, continuate cosí!

We had breakfast here almost every morning and we came back for dinner a couple of times. To me, the best glutenfree restaurant that we tried during the week in Manhattan. The simplicity and quality of seasonal and local ingredients combined with the mastery of food preparation (also on the glutenfree dishes) are the key for their success. But also the courtesy and liking of the many waiters contributed to making it our favourite place. Well done, keep up with the good work!

Perché pagare se puoi averlo gratis?

Sono cliente Fineco da diversi anni ormai, e mi sono sempre trovata bene, sia nella gestione ordinaria che in qualche specifico caso in cui ho apprezzato la loro trasparenza e fiducia (quando hai la partita IVA non è cosí semplice).

Ogni volta che mi sono rivolta alla loro assistenza telefonica ho avuto risposte pronte, chiarissime, fornite da persone evidentemente competenti in materia e anche molto cortesi.

Non ho mancato di segnalarlo a loro e al mondo tramite tweet (e ora questo post): mi sembra giusto riconoscere un servizio che funziona, e mi fa piacere consigliare Fineco ad amici e conoscenti quando se ne presenta l’occasione.

Per questo non capisco la necessitá di mandarmi e-mail con l’invito a portare i miei amici in Fineco per ottenere in cambio premi in denaro. Per due motivi: il primo per quanto dico sopra, ovvero se sono soddisfatta del tuo servizio sono il tuo primo sponsor, e lo faccio gratis perché sono convinta del meccanismo virtuoso. Il secondo è che non saranno 60 euro a convincermi a fare telefonate o mandare e-mail a parenti o conoscenti. Ho altro da fare.

Secondo me questo posizionarsi nel mezzo non ha un gran fortuna, almeno su un cliente come me. Ma magari ci sono frotte di italiani che rispondono positivamente, eh? Mi piacerebbe saperlo.